Da San Francisco a Hong Kong, i giovani nati tra gli anni ‘80 e il 2000 si stanno guadagnando l’attenzione dei datori di lavoro di tutto il mondo. Intraprendenti, Peter Pan curiosi e digital addicted: ecco alcune delle caratteristiche che stanno convincendo grandi aziende e imprenditori ad assumerli. Una tendenza che sta emergendo anche in Italia con alcuni esempi virtuosi.
Estremamente ambiziosi, prediligono posti di lavoro che favoriscono possibilità di carriera, crescita personale e qualità di vita, perennemente immersi nei social media. È questo l’identikit della Generazione Y, ovvero i giovani “Millennials” nati tra gli anni ’80 e il 2000. Un esercito di giovani titolati e motivati, che oltreoceano sta riscuotendo sempre più successo ai colloqui di lavoro: basti pensare che negli Stati Uniti, come riportato da Forbes, i Millennials nel 2020 rappresenteranno ben il 51% del totale della forza lavoro. Una cifra che si scontra con la triste realtà italiana dove, secondo i dati ISTAT 2016, gli occupati tra i 15 e i 34 anni sono 5 milioni, ovvero circa il 22% della forza lavoro totale, con una disoccupazione giovanile superiore al 34%. La situazione sta però lentamente cambiando anche nel Belpaese: la tendenza internazionale a puntare sui Millennials sta condizionando anche le scelte di alcune aziende virtuose, che stanno cominciando a scommettere su di loro. Luxottica, FourStars, Movym, Tanaza e Fluidmesh, sono solo alcune delle imprese in cui l’HR sta abbracciando i giovani. Non solo lavoro: anche la politica sta cambiando marcia sul tema. Basti pensare alla scelta di Matteo Renzi che, rieletto segretario del PD, ha deciso di attorniarsi di Millennials, dai 19 ai 29 anni, per comporre la nuova direzione del partito. Un’attrattiva che deriva, come sottolineato da uno studio condotto dalla UNC’s Kenan-Flagler Business School e dallo YEC, lo Young Entrepreneur Council di Chicago, anche dalla spiccata capacità di comunicare attraverso i social network.
È quanto emerge da uno studio condotto su oltre 60 testate internazionali da Espresso Communication per FourStars, nella quale è stato coinvolto anche un panel di 20 imprenditori italiani, per comprendere le ragioni dell’espansione del trend mondiale delle assunzioni di Millennials e se vi è un’effettiva influenza anche sul problematico panorama lavorativo italiano.
Chiara Grosso ( nella foto) , presidente e CEO di FourStars, agenzia leader nel recruiting e placement di junior profiles, rappresenta un esempio virtuoso in Italia per il numero di assunzioni di Millennials: “I Millennials sono la prima generazione veramente diversa, con logiche relazionali e priorità di vita profondamente differenti rispetto alle generazioni precedenti. Mi piace lavorare con i giovani della Generazione Y perché hanno valori che condividiamo in azienda: lavorano per vivere e non vivono per lavorare, sognano uno stile di vita più che una professione, hanno bisogno di credere in ciò che fanno, sono idealisti, credono nella meritocrazia e riconoscono un capo autorevole, non autoritario. Infatti il nostro staff è composto da circa il 50% di Millennials, e la stragrande maggioranza delle sue risorse interne, il 90%, è composto da donne. Purtroppo l’Italia è ancora molto indietro rispetto le assunzioni giovanili. Addirittura la Cina si sta mostrando in linea con il trend di assumere giovani Net: lo confermano i numerosi candidati che abbiamo inserito a Shanghai e Hong Kong”.
Un parere sui giovani confermato anche da Peter Fleming, professore di Business and Society presso la Cass Business School di Londra, il quale afferma che la peculiarità della Generazione Y risiede nel desiderio di far coincidere valori personali e lavoro come connubio esistenziale. Anche Christopher W. Cabrera, founder e CEO di Xactly Corp, afferma su Businesswire.com che i Millennials cercano nel lavoro qualcosa più di uno stipendio: vogliono lavorare in un ambiente in cui possano partecipare attivamente e offrire un contributo concreto e riconosciuto. Basti pensare che alla Silicon Valley, la competizione per questi giovani talenti è motivo di orgoglio, e il fatto che l’azienda ponga il focus sulla persona rende il luogo di lavoro il posto ideale per esprimere se stessi. Anche il Dayton Daily News, facendo riferimento al report del Center for Generational Kinetics, ha affermato che il 60% dei Millennials sceglie di lavorare in un’azienda piuttosto che in un’altra in base agli intenti dell’organizzazione. Per conquistare la loro fedeltà, è indispensabile che le aziende possiedano una corporate culture desiderabile, rispettino principi etici ed ecosostenibili, e forniscano opportunità di formazione e crescita.
Ma non sono tutte rose e fiori. “I Millennials sono molto sfidanti per chi li assume, perché possono essere difficili da governare: possono essere molto fragili e di facile demotivazione, e questo accresce la sfida a non deluderli – prosegue Chiara Grosso – Tra i loro apporti maggiori all’azienda vi è ovviamente la nascita di nuove idee. Tra le loro mancanze invece vi è la debolezza in disciplina e fedeltà: temo non vivano il meraviglioso dilemma tra ubbidienza e ribellione. Purtroppo non conoscono più il posto fisso, ma anche per l’azienda ‘trattenerli’ significa dargli contenuto. Vivono costantemente connessi, e questo fa circolare l’informazione. Non hanno il tempo di desiderare: pensano, cliccano, ricevono. Questo indebolisce la loro capacità di attesa, la loro tenacia. Ed è tutto questo che li rende una sfida per le organizzazioni”.
Dettagli sottolineati anche da uno studio condotto da Scout Exchange e Oracle HCM Users Group e riportato sul Chicago Tribune, ha rivelato che, nonostante le ricorrenti connotazioni negative, numerosi HR Manager intervistati ripongono speranza nei giovani nati tra la metà degli anni ’80 e la fine dei ‘90. Sebbene tendano ad abbandonare l’azienda per cui lavorano dopo qualche anno, i motivi per cui vale la pena investire sulla loro assunzione sono molteplici: i giovani NET sono in grado di supportare l’azienda ad affrontare il cambiamento, individuare le tendenze in corso, integrare tradizione e innovazione soprattutto mediante la loro specializzazione nelle tecnologie, favorendo quindi una maggiore competitività sul mercato. I Millennials sono “digital natives”: secondo uno studio riportato dall’Harvard Business Review, si aspettano che le tecnologie che migliorano le loro vite personali guidino l’innovazione e la comunicazione nell’ambiente di lavoro. Infatti l’uso dei social media in azienda incide positivamente sia sull’innovazione sia sul coinvolgimento dei lavoratori.
A tal riguardo, concorda anche Valeria Magoni, Marketing Manager di Tanaza, che ha fornito le motivazioni secondo cui le imprese dovrebbero assumere i Millennials: “Innanzitutto, perché sono giovani e portano nuove idee e nuovi modi di pensare all’interno del luogo di lavoro. Il dialogo tra dipendenti più esperti e le “nuove reclute” è estremamente fruttuoso e permette alle aziende di individuare opportunità e sfide che altrimenti sarebbe difficile cogliere e affrontare. In secondo luogo, i Millennials sono estremamente abili nell’usare (e nell’apprendere l’uso di) nuove tecnologie: in questo modo trainano l’azienda verso il futuro, rendendola in grado di interagire con i clienti – soprattutto con i più giovani – attraverso nuovi canali, quali ad esempio i social networks. Infine, dalla mia esperienza posso dire che i Millennials portano “nuova linfa” e una rinnovata energia nell’ambiente di lavoro, e che risultano molto propensi a imparare e a migliorarsi professionalmente.”
Ma le qualità dei Millennials non finiscono qui. Da una ricerca condotta da Project:Time Off e GfK, citata su Harvard Business Review, ai Millennials piace definirsi orgogliosamente dei lavoratori incalliti, o più precisamente “work matyrs” in quanto “obsessed” e dediti al lavoro. I dati mostrano un stupefacente numero di Millennials che ha raggiunto in breve tempo posizioni manageriali e preferisce lavorare piuttosto che usufruire delle ferie maturate per una vacanza. Perché i Millennials sono spesso “work martyrs”? Tomas Chamorro Premuzic, CEO di Hogan Assessments e professore di Business Psychology alla University College London e alla Columbia University, scrisse su The Guardian, che la determinazione e la diligenza della Generazione Y è avvalorata dal forte sentimento di autorealizzazione che sperimenta nello svolgimento del proprio lavoro, confinando spesso nel narcisismo. I Millennials si sentono insostituibili: l’ambizione e il desiderio di apprendere e avanzare velocemente all’interno dell’organizzazione richiede una certa attenzione da parte dei datori di lavoro, i quali devono essere sempre presenti, disponibili a donare feedback, accogliere nuove idee e promuovere una cultura aziendale flessibile e stimolante. Inoltre una ricerca riportata dal Financial Times, sostiene che le donne Millennials, in particolare, siano convinte di poter conquistare maggiori posizioni di leadership all’interno delle organizzazioni rispetto alle loro madri e alle donne delle generazioni precedenti.