L’angolo della psicologa /Notte di San Lorenzo, imparare a cadere dalle stelle

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“Qual’è la tua paura più grande?

Sbagliare”

Questa è la risposta più frequente che sento sentita dare alla domanda su quale sia la paura più grande. Mi sono chiesta perché in molti coviamo nel cuore la paura di sbagliare e cosasignifichi  veramente sbagliare.

“Cosa significa per te sbagliare?” è la domanda che segue alla prima ma le risposte in questo caso sono molto approssimative, per lo più “significa non fare bene” mi sento rispondere ma, non basta, in realtà, ad un’analisi più approfondita avere paura di sbagliare significa temere di essere giudicato, di non essere apprezzato, fino ad arrivare pensare di essere lasciato per una presunta inadeguatezza.

Le radici di questo male sono profonde e si rintracciano nei primi anni di vita quando il bambino instaura con la sua figura di riferimento, la figura materna per lo più, un legame relazionale imprescindibile che Bowlby, il grande studioso della relazione, definisce attaccamento. Egli individua due grandi stili di attaccamento, quello sicuro e quello insicuro che distingue in ambivalente, evitante e disorganizzato in base alle diverse modalità relazionali che si stabiliscono nella interazione madre-bambino.

Il grande merito da attribuire a Bowlby sta nella rivoluzione epistemologica della matrice del legame di attaccamento con la figura di riferimento primario, la madre principalmente, andando contro Freud, il quale sosteneva che l’affetto del bambino per la propria madre fosse determinato dal una motivazione secondaria, derivante dal soddisfacimento di bisogni primari quali magiare ed essere pulito; per Bowlby invece l’affetto del bambino per la propria madre è determinato dal una motivazione intrinseca e primaria, derivante dal bisogno di contatto e di conforto.

Bowlby sostenne, secondo me a ragione, che “nel bambino piccolo la fame dell’amore e della presenza materna non è meno grande della fame di cibo ” per cui ciascuno di noi, fa di tutto pur di essere amato, finanche l’impossibile, dimenticandosi che per un uomo non è possibile raggiungere l’agognata dimensione dell’irrealizzabile.

E proprio nel bisogno di essere amato, bisogno comune ad ogni essere umano e, nei disparati tentativi per esserlo, che si rintraccia la genesi di tante difficoltà a livello psicologico e la risposta alla nostra paura di sbagliare.

Bisogna aprire una piccola parentesi, la paura, in quanto tale, non è sbagliata, non è qualcosa da cui fuggire o da demonizzare.

La Paura è un’emozione, citata da Ekman, uno psicologo americano considerato tra i più importai del ventunesimo secolo, tra quelle primarie, insieme alla gioia, alla rabbia, alla tristezza e ad altre ancora. Rappresenta un’ emozione fondamentale perché, come le altre, ci muove all’azione, ci aiuta ad affrontare le situazioni, tutto sta nel saperle gestire e ben integrarle nel nostro vissuto senza assolutizzarle e diventarne succubi. Tornando alla paura di sbagliare è necessario far riferimento anche al pensiero ed all’idea di perfezione che spesso si ha in mente. Non possiamo adesso parlare di pensiero perché significherebbe addentrarsi nel labirinto di Dedalo senza ali per uscirne, ci basti per ora una semplice distinzione tra il pensiero sano, cioè equilibrato ed il pensiero disfunzionale, che come ben si capisce dalla parola stessa, non funziona come dovrebbe poiché crea distorsioni cognitive. Le distorsioni cognitive sono visioni distorte della realtà, ce ne sono di diversi tipi, le più comuni sono la catastrofizzazione, l’ assolutizzazione, la generalizzazione, le doverizzazioni e la svalutazione.

Queste distorsioni creano credenze sulle quali si innestano le opinioni, scrive il filosofo greco Epitteto: “Gli uomini sono agitati e turbati non dalle cose, ma dalle opinioni che hanno sulle cose”, opinioni che, a quanto pare, ci danneggiano andando a rovinare la nostra quotidianità.

Quindi, spesse volte non sbagliamo, ma temiamo di farlo e nel temerlo realizziamo la nostra paura più grande, commettendo degli errori.

Non sempre sbagliamo ma crediamo di farlo avendo alla base una bassa autostima che veicola, in maniera distorta, i nostri pensieri e ciò che sentiamo.

Dovremmo perciò imparare dalle stelle a cadere, proprio così, con il naso in su la notte di San Lorenzo rimaniamo estasiati davanti lo spettacolo delle stelle cadenti che ci insegnano concretamente che dopotutto cadere non è così brutto…

Imparare a cadere come le stelle, come i grandi pallavolisti che si tuffano per salvare una palla e si rialzano senza troppi lividi, imparare che è possibile sbagliare e che lo  sbaglio non è una condanna che pende su di noi, che non è necessariamente motivo di fallimento, che non decreta la sconfitta o la rinuncia.

Diceva Skinner, uno psicologo comportamentista che della psicologia ha fatto la storia con i suoi studi sul condizionamento operante: “Un fallimento non è sempre uno sbaglio; potrebbe semplicemente essere il meglio che uno possa fare in certe circostanze. Il vero sbaglio è smettere di provare.”

Pertanto, dobbiamo imparare a distogliere lo sguardo da generalizzazioni, doverizzazioni, svalutazione e da quant’altro inficia il nostro modo di pensare e tendere alla normalizzazione del pensiero.

Che cosa vuol dire normalizzare il pensiero? Significa, semplicemente, rendere normale ciò che ci sembra inaccettabile, distogliere l’attenzione da ciò che ci preoccupa attraverso un cambio di pensiero e di emozione, passare da “ho sbagliato, nessuno più mi riterrà all’altezza di fare qualcosa” a “ ho sbagliato, può capitare a tutti, la prossima volta farò meglio”. Dovremmo cominciare a renderci conto che nessuno stato d’animo c’è o dura per sempre, dovremmo, eliminare gli aggettivi e i commenti  troppe volte negativi ai nostri vissuti interiori, smettere di valutarsi in maniera dispregiativa, non soffermarsi unicamente sulle critiche, o dipendere dagli apprezzamenti o sui complimenti degli altri ma, accettare che cadere è possibile e normale che succeda, che nessuno è infallibile su questa terra!

Dovremmo accettare di cadere e, quando capita, rialzarsi, rendendosi conto che è possibile rialzarsi senza troppa difficoltà e continuare a camminare.

Vi lascio 5 semplici punti da cui cominciare a riflettere per continuare a camminare su qualsiasi sentiero senza lasciarsi bloccare dalla paura di cadere:

  1. Sbagliare fa parte del gioco,
  2. Sbagliare una o più volte non significa sbagliare sempre;
  3. Anche un fallimento può insegnarci qualcosa
  4. Non è scritto da nessuna parte che devi essere sempre il primo della classe;
  5. Prova e prova ancora.

Buon cammino!

dott.ssa Antonella Petrella, Psicologa- Psicoterapeuta

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