Lo strasbismo di Maastricht

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di Gianpaolo Rossini

La politica economica europea è sempre stata molto attenta al rispetto di parametri come debito e deficit pubblici e molto poca attenta al debito estero (pubblico e privato). E un deficit del conto corrente con l’estero segnala che un paese spende più di quello che produce e può gettare il paese in crisi di liquidità. E’ quanto accaduto in Grecia. Gli squilibri con l’estero sono complessi da curare. Basti pensare al caso islandese. Ma l’appartenenza all’euro, con un piano di rientro di almeno dieci anni, può essere anche un’opportunità.
In Germania, in Francia e in Belgio dopo l’accordo per il salvataggio della Grecia si invoca severità fiscale. Il cittadino medio non capisce. L’Italia con un alto debito pubblico addirittura contribuisce al salvataggio della Grecia. Soffrono invece Portogallo e Spagna, con debiti pubblici inferiori o simili alla Germania (vedi Tabella).
DEBITO PUBBLICO E DEBITO ESTERO
E’ un paradosso? Occorre ricordare che la crisi greca nasce da conti con l’estero in rosso, problematici per i mercati. Un deficit del conto corrente con l’estero segnala che un paese nell’insieme (governo, imprese, famiglie) spende più di quello che produce. Accumula debito estero se questo comportamento si protrae nel tempo. Un risparmio nazionale insufficiente e che non trova sostegno estero, getta la Grecia in crisi di liquidità. Il primo a soffrire è il settore pubblico, perché più esposto e meno diversificato. Fino a qualche anno fa questo era pane per il Fmi, incaricato di disciplinare e/o fornire fondi quando i flussi finanziari privati non erano in grado di metabolizzare debiti e crediti tra paesi sovrani.
Con il procedere dell’integrazione finanziaria privata internazionale degli squilibri con l’estero dovevano occuparsi soprattutto i mercati dei cambi e quelli delle attività finanziarie. Una tale fiducia nella Unione monetaria, in cui il cambio è fisso, era affiancata dalla filosofia di Maastricht. Occhiuta sui conti pubblici. Cieca sugli squilibri con l’estero. Non solo per un ottimismo concernente i flussi internazionali ma anche perché affrontare uno squilibrio nei conti pubblici di un paese è più semplice visto che basta imporre delle regole ad un governo solo. Per uno squilibrio nei conti con l’estero occorre invece intervenire su almeno due governi. Chi è in deficit deve rendersi più competitivo e spendere meno. Chi è in surplus spendere di più e smettere di sottrarre domanda ad altri.
Gli squilibri con l’estero sono complessi da curare. Prova ne è che seguitano a causare crisi finanziarie. Ma quale rapporto c’è tra conti pubblici ed esteri?
I DUE CASI ESTREMI: GIAPPONE E ISLANDA

Il Giappone da decenni inanella surplus con l’estero, eppure con i criteri di Maastricht avrebbe subito pesanti sanzioni perché ha accumulato un enorme stock di debito pubblico. E’ il secondo detentore di Bot Usa, nonostante presenti un debito pubblico grande quasi due volte il suo Pil. Come fa? E’ semplice, con il risparmio privato. Essendo i giapponesi accaniti risparmiatori, non solo finanziano il loro debito pubblico ma anche quello americano. E nel farlo hanno accumulato un cospicuo credito estero. Vorranno ora ridurre il loro debito pubblico? Non faranno sacrifici, dato che ogni cittadino in media sopporta debito pubblico pari a due anni di stipendio, ma possiede uguale ammontare in Bot giapponesi. Pagherà le imposte per ridurre il debito pubblico vendendo Bot senza tagli al tenore di vita. Il Giappone non soffre crisi di liquidità, anzi ne ha troppa.
L’opposto è l’Islanda. Nel 2007 aveva un debito pubblico irrisorio (solo il 10% del Pil). Ma il paese nel suo complesso da tempo produce meno di quello che compra (soprattutto vende all’estero meno di quello che importa). Ha così accumulato un ampio debito estero tanto grande che il debito estero netto islandese (1) è tre volte il Pil del paese. Per ripagarlo ogni islandese dovrà ridurre la spesa privata per consumi e investimenti per restituire a inglesi e olandesi – i principali creditori degli islandesi – tre anni di stipendio. Uno sforzo giudicato non sostenibile, dai mercati, quando nell’autunno 2008 l’Islanda fa bancarotta e anche dagli islandesi che con referendum del 7 marzo 2010 dicono no alla restituzione dei debiti.
La bancarotta dell’Islanda dimostra che i criteri di Maastricht non impediscono crisi finanziarie perfino dove si dispone di un tasso di cambio. Ma nel 2007 cadde in errore anche il famoso economista di Columbia Frederick Mishkin che scrisse “l’Islanda è invidiata da altri paesi d’Europa e perfino da Giappone Stati Uniti … e non avrà problemi nel finanziare il suo debito estero”.
Gli esempi di Giappone e Islanda indicano che un paese rischia insolvenza e crisi di liquidità quando è esposto verso l’estero, non quando il governo drena risorse dai cittadini.
Simile al Giappone è l’Italia, con un alto debito pubblico, ma un bassissimo debito estero netto, come anche la Francia, che gode di debito pubblico inferiore e poco sopra la Gran Bretagna. Più simili all’Islanda sono Spagna e Portogallo con Irlanda a seguire. La Grecia è nel mezzo con debito pubblico ed estero alti. Le posizioni nette sull’estero derivano da enormi debiti e crediti per via della diversificazione internazionale dei portafogli. Se si vuole valutarne con precisione la sostenibilità occorre esaminare la composizione. Una valutazione tecnica non facile ma che avvicinerebbe le politiche alla moderna chirurgia conservativa.
MAGGIORE DISCIPLINA FISCALE IN EUROPA?
Serve allora in Europa una maggiore disciplina fiscale? No, a meno che non si preoccupi del debito estero oltre che di quello pubblico. E allora quali soluzioni per Grecia e altri paesi in potenziale crisi di liquidità? Nell’Unione monetaria nessun paese ha leva monetaria e cambio per sanare i conti con l’estero e riacquistare competitività. Ci sono alternative ad un’uscita dall’euro per rimettere in sesto l’economia greca?
A mio avviso l’appartenenza all’euro della Grecia è un’opportunità per un piano di rientro di almeno dieci anni, che non strozzi la giovane democrazia ellenica, accompagnato da prestiti spalmati su un lungo arco di tempo dei paesi europei a finanza più solida, a tassi più bassi di quelli di mercato. Le politiche condizionali devono però dotarsi di strumenti finanziari più raffinati e di ricette più mirate.
L’Europa può provare a dimostrare che i mercati finanziari non sono frequentati solo da personaggi e agenzie dai quali nessuno andrebbe neppure a farsi togliere un callo. Un’illusione?
Fonte: http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001698.html