La produzione industriale cresce, anzi no

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di Francesco Daveri

Lo spazio, come il tempo, è tiranno e quindi capita che i titoli dei giornali e dei tg offrano drastiche semplificazioni della realtà. Sarebbe meglio che la semplificazione aiutasse i lettori a capire che la crescita è ricominciata ma che la fine del tunnel è ancora lontana, anziché alternare titoli catastrofici e messaggi rassicuranti a seconda dei giorni. Ecco un esempio sui dati di produzione industriale. Dei problemi dell’informazione si discuterà al prossimo Festival dell’Economia di Trento.
Chi ci capisce è bravo. Dagli industriali avevamo inteso che l’industria italiana era in difficoltà, tanto in difficoltà che, alle cosiddette assise della Confindustria svoltesi a Parma in aprile la sua presidente, Emma Marcegaglia, si era rivolta in modo reiterato e quasi accorato al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, perché la politica facesse le riforme per ritornare alla crescita (o per uscire dal declino, a seconda dei punti di vista).
Capita poi che l’Istat pubblichi i dati sulla produzione industriale relativi al mese di marzo 2010. A questo punto Il Sole-24Ore on-line del 10 maggio titola, quasi festosamente: “La produzione industriale cresce del 6 per cento a marzo; ai massimi dal 2006”. Lo stesso fa il Tg1 nell’edizione delle 20: “Produzione industriale ai massimi dal 2006”. Ma insomma l’industria italiana è in difficoltà oppure no? Ha bisogno degli incentivi varati per decreto dal governo poco dopo Pasqua oppure no? Ci vogliono le riforme per far ripartire l’Italia o possiamo andare avanti come abbiamo fatto finora, “de tacco e de punta”, affidandoci alle punte di diamante del manifatturiero di cui parla sul Sole-24Ore Marco Fortis e all’esercito delle partite Iva? Non sono irrilevanti domande da accademici, ma questioni cruciali per la politica economica.
Provo a spiegare che cosa si capisce (che cosa capisco) dai dati disponibili, a partire dal grafico sulla produzione industriale mensile. I dati sono destagionalizzati. Vuol dire che i dati grezzi – quelli misurati dalle aziende tutti i mesi e che oscillano tremendamente di mese in mese perché una volta c’è Natale, un’altra volta c’è Pasqua e un’altra volta ancora ci sono le ferie estive – sono corretti con metodi statistici che depurano da vacanze e simili. La serie nel grafico è dunque quella depurata. I dati sono quindi in linea di principio confrontabili mese per mese, a patto che i metodi statistici di destagionalizzazione non ci inducano in errore (1).La serie nel grafico è dunque quella depurata, ed è quindi in linea di principio confrontabile mese su mese, a patto che i metodi statistici di destagionalizzazione non ci inducano in errore.
Il grafico mostra che, in effetti, nel marzo 2010, il dato della produzione industriale in Italia è in crescita del 6,6 per cento rispetto al valore che aveva assunto nel suo punto di minimo durante la crisi, cioè nel marzo 2009. Nel marzo 2009 l’indice della produzione industriale era sceso a 80 circa dal suo punto di massimo di 108,3 dell’aprile 2008 ed è ora risalito a 85,5 circa (per la precisione: 85,7 in marzo). Siccome 85,7 diviso 80,4 dà 1,066, ecco spiegato il titolo festoso del Sole-24Ore e del Tg1.
Poi da capire c’è l’altro pezzo del titolo: “… ai massimi dal 2006”. Da quello che si vede dal grafico, la produzione industriale è ben al di sotto non solo dei valori 2008, ma anche del valore medio del 2005 (pari a 100), a sua volta inferiore a quello medio del 2006 (non riportato nel grafico). Che cosa vuole dire dunque quel titolo? Vuol dire che l’aumento registrato nel marzo 2010 è il più grande dal 2006 “in termini tendenziali”, cioè rispetto ai dodici mesi precedenti (ovvero rispetto al marzo 2009). Ma se pensiamo che dall’aprile 2008 al marzo 2009 abbiamo avuto la crisi peggiore degli ultimi ottanta anni si capisce che migliorare rispetto al punto più basso della crisi è stata la parte facile. La parte difficile verrà nei prossimi mesi quando pian piano l’industria italiana dovrà migliorare i suoi dati rispetto ad un livello iniziale meno basso.
UN RIASSUNTO INCOMPLETO
Nel complesso il titolo del quotidiano fa un riassunto incompleto e non aiuta a capire le difficoltà dell’industria italiana di oggi.
Per due ragioni. La prima ragione è che 85,7 rispetto a 108,3 vuole pur sempre dire 23 punti di produzione industriale in meno. Meno automobili, meno cucine, meno chili di pasta prodotti in Italia. E siccome il numero di occupati nel settore industriale dipende da quante automobili, cucine e chili di pasta produce l’industria italiana, questo vuol dire che nell’industria italiana c’è oggi bisogno di parecchi lavoratori in meno che nell’aprile 2008. Il che spiega come mai il tasso di disoccupazione è salito fino all’8,8 per cento a partire dal 6 per cento che prevaleva prima della crisi. E la disoccupazione vuota i carrelli della spesa e quindi pesa negativamente sulle vendite (i dati della grande distribuzione indicano un preoccupante meno tre per cento su base annua per il primo trimestre 2010). Insomma, a fianco del +6,6 per cento anziché “ai massimi dal 2006” si potrebbe scrivere un -21 per cento. Meno ventuno per cento (per la precisione: -20.9%, da: (85.7-108.3)/108.3) è, infatti, la riduzione percentuale della produzione industriale rispetto al suo punto più alto raggiunto all’inizio della crisi. Sarebbe un modo trasparente di far capire ai lettori quanto lontana è l’uscita dal tunnel.
In secondo luogo, come si può vedere dal grafico, la produzione industriale è in crescita più o meno lineare dal marzo 2009, ma dal gennaio 2010 a oggi è rimasta più o meno lì a oscillare tra 85,5 e 86 (per la precisione: 85,8 in gennaio e febbraio e 85,7 in marzo), dopo che nel gennaio 2010 aveva mostrato un bel +1,9 per cento (passando da un valore di 84,2 appunto a uno di 85,8). Nonostante la relativa stagnazione di febbraio e marzo e proprio grazie al balzo di gennaio, la crescita destagionalizzata della produzione industriale del primo trimestre 2010 mostra un +1,4 per cento rispetto al quarto trimestre 2009. Tra pochi giorni l’Istat dirà se il dato del Pil trimestrale del primo trimestre 2010 riflette quello buono della produzione industriale (mostrando un dato come +0,3 o +0,4 per cento) o se invece il cattivo andamento del mercato del lavoro avrà pesato negativamente sui consumi più di quanto abbia fatto in positivo il buon andamento delle esportazioni, soprattutto di quelle extra-europee. Se di crescita si parla, è comunque una crescita lenta o molto lenta. Da cui il grido di allarme di Emma Marcegaglia a Parma.
Su internet e sui giornali e in tv, lo spazio, come il tempo, è tiranno e quindi capita che i titoli dei giornali offrano drastiche semplificazioni della realtà. Sarebbe però meglio che la semplificazione aiutasse i lettori a capire che la crescita è ricominciata, ma che la fine del tunnel è ancora lontana, anziché portare all’alternanza di titoli catastrofici e messaggi rassicuranti senza istruzioni per l’uso che creano solo disorientamento negli utenti dei servizi di informazione.
(1) Destagionalizzare soprattutto nei periodi di crisi economica non è un’operazione di routine. Nel mese di agosto 2008, l’Istat annunciava un +7% nel livello destagionalizzato della produzione industriale, con il resto dell’Europa a +0.9%. Squilli di trombe, ministri che dichiarano sollevati: stiamo uscendo per primi dalla crisi. Ora l’Istat ha rivisto le sue serie e il dato di agosto della produzione industriale mostra un -2.3% che è difficile da riconciliare con i dati pubblicati in precedenza e con l’immagine di allora di un’Italia che guida la ripresa in Europa.

Fonte: http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001704.html