L’accordo antidazi tra Ue e Svizzera non esclude l’Iva da importazione

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E’ accusato di evasione chi non paga l’imposta per le merci comprate in territorio elvetico e usate in Italia
La Corte di cassazione, sezione III penale, con la sentenza n. 16860 del 4 maggio, ha stabilito, in tema di importazioni, che commette evasione fiscale il contribuente che non versa l’Iva sui mezzi di trasporto intestati a società estera, importati in Svizzera, ma usati privatamente in Italia. Ciò anche se il versamento è già stato eseguito al Fisco elvetico, con aliquota diversa.

L’Iva all’importazione
Giova premette che con la realizzazione del Mercato unico europeo, i concetti di “importazione” e di “esportazione” trovano applicazione unicamente per le operazioni di scambio effettuate verso Paesi terzi o verso territori che, pur facendo parte dell’ambito doganale comunitario, ne sono esclusi agli effetti fiscali.

Costituiscono importazioni, soggette a imposizione Iva, da chiunque effettuate:
le operazioni di immissione in libera pratica di beni provenienti da Paesi terzi o dai territori esclusi ai fini fiscali dall’ambito comunitario;
le operazioni di perfezionamento attivo di cui all’articolo 2, lettera b), del Regolamento Cee n. 1999/1985
l’importazione temporanea di beni destinati a essere riesportati senza avere subito alcuna modifica o trasformazione e che, in base a disposizioni comunitarie, non fruiscono dell’esenzione totale dai dazi di importazione
le immissioni in consumo di beni provenienti dal Monte Athos, dalle isole Canarie e dai dipartimenti francesi d’oltremare.

Non sono soggette a imposta:
le importazioni effettuate dall’esportatore abituale con utilizzo del plafond (previo rilascio in dogana della dichiarazione d’intento)
le importazioni di oro da investimento
la reintroduzione di beni nello stato originario da parte dello stesso soggetto che li aveva esportati, sempre che ricorrano le condizioni per la franchigia doganale
l’importazione di beni donati a enti pubblici ovvero ad associazioni riconosciute o fondazioni aventi esclusivamente finalità di assistenza, beneficenza, educazione, istruzione, studio o ricerca scientifica
l’importazione di beni donati a favore delle popolazioni colpite da calamità naturali o catastrofi
l’importazione di campioni gratuiti di modico valore, appositamente contrassegnati.

Circa la natura dell’Iva all’importazione, sembra incontestabile che l’essenza economica della stessa sia quella propria del tributo sul valore aggiunto che colpisce le operazioni realizzate all’interno del territorio nazionale; in sostanza, il meccanismo applicativo dell’imposta diverge, ma l’Iva “interna” e l’Iva all’importazione si fondano sul medesimo presupposto sostanziale.
La tecnica impositiva delle importazioni è diversa da quella degli scambi interni, basata sul versamento periodico dell’imposta a debito al netto di quella a credito, in quanto per le importazioni il presupposto impositivo, sul piano formale, coincide con quello previsto per i diritti doganali, tant’è che l’articolo 70 del Dpr 633/1972 stabilisce che “l’imposta relativa alle importazioni è accertata, liquidata e riscossa per ciascuna operazione”.

Nonostante l’Iva all’importazione non sia regolata dai principi che caratterizzano il funzionamento dell’imposta per gli scambi realizzati all’interno del territorio italiano (rivalsa e detrazione), la disciplina delle importazioni resta pur sempre coordinata con quella delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi in quanto l’imposta pagata per le importazioni effettuate da un soggetto passivo influisce direttamente sulla misura del versamento che il soggetto deve eseguire a scadenze periodiche, essendo detraibile, come nel caso di quella assolta per rivalsa in relazione agli acquisti di beni e servizi nel territorio dello Stato, da quella relativa alle operazioni imponibili effettuate.
L’Iva all’importazione, in altri termini, viene calcolata sul valore del bene dichiarato in dogana, ma l’imposta che l’importatore, soggetto passivo Iva, versa successivamente all’Erario corrisponde al solo valore aggiunto, dal momento che l’Iva pagata in dogana risulta per lui detraibile (articolo 17, par. 2, lett. b), della VI direttiva Cee).

Infine, la competenza all’accertamento, alla liquidazione e alla riscossione dell’Iva all’importazione spetta unicamente agli uffici doganali (Cassazione, n. 12333/2001). Considerato poi che l’ordinamento nazionale in materia di Iva non prevede disposizioni sanzionatorie specifiche per i casi di omesso versamento del tributo all’importazione, operando l’articolo 70 del Dpr 633/1972 un rinvio a quanto recato dalle leggi doganali relative ai diritti di confine, ne consegue che anche ai fini sanzionatori occorre fare riferimento alla normativa essenzialmente contenuta nel Tuld 43/1973 e negli ulteriori provvedimenti correlati. Nella specie, il delitto di contrabbando è punito nella forma semplice con la multa, ma anche con la reclusione nella ricorrenza di circostanze aggravanti (articolo 295), sia pure con specifico riferimento all’imposta in questione, atteso che la violazione doganale accertata consiste nell’introduzione in evasione di imposta nel territorio doganale di beni soggetti a Iva.

I fatti di causa
Con la sentenza 16860/2010, la Corte di cassazione ha accolto il ricorso della procura della Repubblica di Bergamo annullando con rinvio l’assoluzione dal reato di evasione dell’Iva di un imprenditore e di un pilota italiani (che dovranno ora essere nuovamente processati, appunto per evasione fiscale), ai quali era stata contestata l’introduzione in Italia di un elicottero, di proprietà di una società francese, già precedentemente importato in Svizzera, per poi essere trasferito tempestivamente sul territorio nazionale senza assolvimento dell’Iva all’importazione. In particolare, l’operazione era così congegnata:
intestazione del mezzo ad un Anstalt domiciliato in Liechtenstein
esportazione dalla Francia
importazione definitiva in Svizzera
trasferimento del mezzo in Italia ai fini della relativa utilizzazione.
Il velivolo veniva quotidianamente utilizzato in Italia per il traffico aereo per esclusivo uso privato, violando così la normativa sull’ammissione temporanea dei mezzi di trasporto esteri. Si precisa che con la locuzione “uso privato” si intendono finalità dell’utilizzo del mezzo comunque diverse da quelle commerciali, mente quest’ultimo stima l’utilizzo strumentale per il trasporto di persone a titolo oneroso.

I due soggetti coinvolti nell’operazione, nei cui confronti erano scattate inizialmente le accuse di evasione fiscale, erano stati poi assolti dal giudice per l’udienza preliminare per “l’insussistenza del fatto”, motivando la mancata ascrizione del reato previsto dall’articolo 70 del Dpr 633/1972 con la circostanza che il pilota avrebbe versato l’Iva nella Confederazione elvetica con tasso del 7,6% del valore del mezzo stesso, altrimenti si sarebbe verificata doppia imposizione, che escludeva la violazione contestata in tale ipotesi per effetto dell’Accordo stipulato il 19 dicembre 1972 tra la Confederazione elvetica e la Comunità europea.

Con l’impugnazione in Cassazione della decisione del Tribunale, la procura della Repubblica ha invece valorizzato nei due motivi del ricorso:
violazione degli articoli 67 e 70 del Dpr 633/1972, e 555 e conseguenti del regolamento Ce 2454/1983, in quanto i mezzi di trasporto esteri, una volta che è scaduto il periodo di ammissione temporanea, devono essere riesportati o definitivamente importati nel Paese in cui vengono utilizzati, cosicché l’imputato avrebbe dovuto importare definitivamente in Italia il velivolo quivi utilizzato corrispondendo il tributo all’importazione, con contestuale richiesta del rimborso dell’imposta già versata nel Paese di provenienza del mezzo
violazione dell’articolo 70 del Dpr 633/1972 in relazione alla VI direttiva comunitaria 77/388/Ce a cagione del fatto che il Gup ha omesso di considerare la configurazione nella fattispecie di un’ipotesi di “abuso del diritto” nella misura in cui integra operazioni condotte ai soli fini dell’evasione dell’Iva, poiché tutta l’operazione considerata nel suo complesso, dall’acquisto in Liechtenstein fino all’utilizzo subito dopo in Italia per fini privati, era preordinata a ottenere un indebito vantaggio fiscale.

La decisione della Cassazione
Con la sentenza 16860/2010, in accoglimento del ricorso della procura, la Cassazione ha stabilito il principio che il mancato pagamento dell’Iva all’importazione di merci comprate in Svizzera e di fatto utilizzate in Italia configura il reato di evasione dell’imposta di cui all’articolo 70 del Dpr 633/1972, con l’unico limite del divieto di doppia imposizione, la quale non si verifica dal momento che la normativa svizzera, uniformata alla VI direttiva, riconosce la neutralità dell’imposta e prevede l’esenzione per una serie di operazioni classificabili come cessione all’esportazione, e il diritto alla detrazione per le forniture di beni successivamente esportati.

Al riguardo, l’Accordo del 1972 tra la Confederazione elvetica e la Comunità europea prevede che i dazi doganali all’importazione negli scambi tra la Svizzera e la Comunità sono gradualmente soppressi, che “nessun nuovo dazio doganale all’importazione viene introdotto” (articolo 3) e che “nessuna nuova tassa di effetto equivalente a dei dazi doganali all’importazione è introdotta” (articolo 6). L’articolo 4, poi, afferma, fissando il principio della “neutralità commerciale” dell’imposta, che le disposizioni relative alla graduale soppressione dei dazi doganali all’importazione sono applicabili anche ai dazi doganali a carattere fiscale e che le parti contraenti possono sostituire con tassa interna un dazio doganale a carattere fiscale o l’elemento fiscale di un dazio doganale.
E l’Italia, abilitata da quest’ultima disposizione, ha istituito il dazio all’importazione (recte, Iva) all’atto dell’ingresso delle merci nel territorio nazionale.

Conformemente a quanto stabilito dalla normativa, la Cassazione ha più volte affermato (n. 22555/2002, n. 36198/2007) che l’Accordo tra Confederazione elvetica e Comunità lascia “impregiudicata” la facoltà di riscossione dell’Iva all’atto dell’ingresso delle merci nel territorio degli Stati aderenti alla Comunità, trattandosi di imposta il cui presupposto economico-finanziario è del tutto diverso da quello dei dazi doganali e che non costituisce duplicazione di questi, pur essendo, per motivi di opportunità e di politica fiscale, accomunata agli stessi dal sistema di riscossione e dal regime sanzionatorio.
Tale orientamento è stato ribadito dalla sentenza 17432/2005, ove si precisa che il reato di violazione dell’Iva all’importazione non è affatto escluso da predetto accordo in quanto l’Iva costituisce un tributo interno che secondo i principi del Trattato Ce è dovuto allo Stato al momento dell’ingresso delle merci, a meno che non si provi che il tributo è già stato assolto anteriormente sia pure al momento dell’esportazione dallo Stato di provenienza. In base all’Accordo, l’introduzione clandestina di merce dal territorio elvetico non integra il reato di contrabbando, ma può configurare quello di cui all’articolo 70 del Dpr 633/1972, a condizione però che la merce introdotta non sia soggetta a doppia imposizione e cioè non sconti in Italia un’imposta già pagata all’esportazione (cfr Cassazione, n. 6741/2006). La doppia imposizione, infatti, introducendo un trattamento discriminatorio tra merci nazionali e merci importate, violerebbe il principio di neutralità commerciale dell’imposta voluto dall’articolo 4 dell’Accordo.

La consumazione del reato
Con riguardo ai fatti in concreto accertati, la Suprema corte richiama l’articolo 558 del Regolamento comunitario 2454/1993, in base al quale l’esonero totale dai dazi all’importazione è concesso per i mezzi di trasporto, nella specie adibiti alla navigazione aerea, purché sussistano le seguenti condizioni:
che siano immatricolati fuori del territorio doganale della Comunità a nome di una persona stabilita fuori di tale territorio
che siano utilizzati da una persona stabilita fuori del territorio doganale della Comunità, salvo espresse eccezioni
che, in caso di uso commerciale di mezzi di trasporto non ferroviari, siano utilizzati esclusivamente per un trasporto che inizia o termina fuori del territorio doganale della Comunità; tali mezzi di trasporto possono tuttavia essere utilizzati per il traffico interno, quando le disposizioni vigenti nel settore dei trasporti relative, segnatamente, alle condizioni di accesso e di esecuzione dei medesimi, lo prevedano.

L’articolo 562 prevede in sei mesi i termini di appuramento per i mezzi di trasporto aerei a uso privato, il cui mancato esercizio comporta che il mezzo si considera definitivamente importato nel Paese di utilizzo.
Sulla scorta del riferito quadro normativo, la Suprema corte esclude che nella specie ricorresse l’esenzione dall’imposta all’importazione dal momento che il velivolo, nonostante l’intestazione a una società estera, era in concreto utilizzato da un cittadino residente stabilmente in Italia per un uso diverso da quello commerciale. L’utilizzatore, usando la diligenza del bonus pater familias, poteva regolarizzare la posizione allo scadere del periodo di appuramento mediante presentazione di autodichiarazione in dogana di definitiva importazione del velivolo nel territorio italiano assolvendo la relativa Iva dovuta. Non avendo provveduto a tale incombenza, l’interessato è incorso nel reato ascritto proprio per il mancato pagamento del tributo all’importazione, reato che si è consumato allo scadere del semestre del termine di appuramento, punito dall’articolo 295, comma 3, del Dpr 43/1973. Né sussiste nella specie alcuna possibilità di sanatoria tardiva.

Peraltro, il solo pagamento dell’imposta in Svizzera non escludeva il reato de quo proprio in base al predetto Accordo del 1972, in quanto la circostanza non avrebbe dato luogo a fenomeni di doppia imposizione, che riconosce la neutralità dell’imposta e non prevede tassazione all’atto dell’esportazione per cessioni analoghe a quella oggetto del giudizio, per cui, anche a prescindere dal fatto che le aliquote della Confederazione elvetica e dell’Italia fossero diverse, era onere dell’interessato pagare la differenza se voleva evitare di incorrere nella fattispecie criminosa.

Conclusioni
Va rilevato che nell’operazione in esame la Corte riconosce la configurabilità del principio dell’abuso del diritto, trattandosi di operazione congegnata per conseguire un beneficio fiscale altrimenti indebito (per tutte, Cassazione 4737/2010), anche se nel caso trattato tale assunto non assume rilevanza restando “coperto” dalla (ri)affermazione del reato di evasione dell’Iva all’importazione.
Salvatore Servidio
Fonte: http://www.nuovofiscooggi.it/giurisprudenza/articolo/laccordo-antidazi-tra-ue-e-svizzera-non-esclude-liva-da-importazione