Uno studio italiano condotto su ventitremila persone, pubblicato sul Journal of the American College of Cardiology, mostra come consumare regolarmente questa spezia comporti una riduzione del rischio di mortalità cardiaca del 40 % e di quella per cause cerebrovascolari di oltre il 60%
Il peperoncino piccante è un ospite molto frequente sulle tavole degli Italiani, e nel corso dei secoli sono stati in tanti a decantarne virtù terapeutiche di vario tipo. Ora una ricerca condotta dal Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli (IS), in collaborazione con il Dipartimento di Oncologia e Medicina Molecolare dell’Istituto Superiore di Sanità, dell’Università dell’Insubria di Varese e del Cardiocentro Mediterranea di Napoli, pubblicata sul Journal of the American College of Cardiology (JACC), mostra come le persone abituate a consumarlo regolarmente abbiano un rischio di mortalità per ogni causa ridotto del 23% rispetto a chi non lo gradisce.
Lo studio ha preso in esame 22.811 cittadini del Molise partecipanti allo studio Moli-sani. Seguendo il loro stato di salute per un periodo medio di circa 8 anni, e confrontandolo con le loro abitudini alimentari, i ricercatori Neuromed hanno potuto dimostrare come nelle persone che consumano regolarmente peperoncino (4 volte a settimana o più), il rischio di morire di infarto si abbatte del 40%, mentre la riduzione più forte si osserva sulla mortalità cerebrovascolare, che risulta più che dimezzata.
Un dato molto interessante– dice Marialaura Bonaccio, ricercatrice epidemiologa di Neuromed e primo autore della pubblicazione – è che la protezione dal rischio di mortalità è risultato indipendente dal tipo di alimentazione seguita. In altri termini, qualcuno può seguire la salutare dieta mediterranea, qualcun altro mangiare in modo meno sano, ma per tutti il peperoncino esercita una funzione protettiva”.
Lo studio Moli-sani è il primo a esplorare le proprietà di questa spezia piccante in relazione al rischio di morte in una popolazione europea e mediterranea come quella del Molise.
“Il peperoncino – commenta Licia Iacoviello, Direttore del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’IRCCS Neuromed e Professore di Igiene e Salute Pubblica dell’Università dell’Insubria a Varese, – è un componente fondamentale della nostra cultura alimentare. Lo vediamo appeso sui balconi e persino raffigurato nei gioielli. Nel corso dei secoli gli sono state attribuite proprietà di tutti i tipi, il più delle volte basate su aneddoti o usanze al limite della magia. È importante, ora, che la ricerca se ne occupi in modo concreto, con rigore ed evidenza scientifica. Come già osservato in Cina e negli Stati Uniti, le varie piante della specie capsicum, pur consumate con modalità diverse in tutto il mondo, possono esercitare un’azione protettiva verso la nostra salute”.
Nuove ricerche dovranno essere ora avviate per capire le modalità biochimiche attraverso le quali agiscono il peperoncino e i suoi “parenti” sparsi nei vari angoli del globo (tutti accomunati dalla presenza di una sostanza denominata capsaicina). Ma per il momento i cultori del piccante hanno sicuramente un motivo in più per mantenere la loro abitudine.
Bonaccio M, Di Castelnuovo A, Costanzo S, Ruggiero E, De Curtis A, Persichillo M, Tabolacci C, Facchiano F, Cerletti C, Donati MB, de Gaetano G, Iacoviello L, on behalf of the Moli-sani Study Investigators. “Chili Pepper Consumption and Mortality in Italian Adults“. Journal of the American College of Cardiology Volume 74, Issue 25, December 2019 DOI: 10.1016/j.jacc.2019.09.068