Sulle condizioni economiche dei contratti di conto corrente bancario

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Il Tribunale di Brescia, con la sentenza 18 gennaio 2010, delinea l’indirizzo del Tribunale nelle cause relative alle condizioni economiche dei contratti di conto corrente bancario.
Dedica tutta una premessa a delineare come il Tribunale ha risolto i problemi relativi a dies a quo per la decorrenza della prescrizione decennale, della decadenza relativa alla prescrizione degli e/c, della nullità dell’uso piazza e della sostituzione del tasso legale ex art. 1284 c.c.; della nullità dell’anatocismo trimestrale e della non sostituibilità con quello annuale; della invalidità delle CMS e delle valute ove non siano specificatamente determinate.
(Altalex, 2 febbraio 2010. Si ringrazia Antonio Tanza)
Fonte: http://www.altalex.com/index.php?idu=143290&cmd5=ac265b1bc42e01dbe234216e9f6c78ee&idnot=49018

Licenziamento illegittimo e diritto all’indennità sostitutiva
La Cass. civ., sez. lav., 16 marzo 2009, n. 6342 ribadisce che il diritto alla indennità sostitutiva è connesso non alla pronuncia della reintegra, ma alla sussistenza del relativo obbligo – il quale ha origine nel recesso illegittimo dei datore di lavoro.
La giurisprudenza di legittimità si è già pronunciata sulla questione con le sentenze Cass. civ., 21 dicembre 1995, n. 13047, Cass. civ., 5 dicembre 1997, n. 12366 e Cass. civ., 16 ottobre 1998, n. 10283; di recente, Cass. civ., sez. lav., 16 novembre 2009, n. 24199. Nelle ricordate decisioni, la indennità prevista nell’art. 18, comma 5, legge 20 maggio 1970 n. 300, nel testo modificato dall’art. 1, legge 11 maggio 1990 n. 108, è configurata come prestazione che si inserisce, in connessione con il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro che deriva dalla legittimità del licenziamento, in un rapporto obbligatorio avente la struttura di un’obbligazione con facoltà alternativa dal lato del creditore, essendo attribuita al prestatore la facoltà insindacabile di “monetizzare” il diritto alla reintegrazione in una prestazione pecuniaria di ammontare fisso, pari a quindici mensilità di retribuzione.
Da tale inquadramento della fattispecie discendo l’ulteriore principio secondo cui la facoltà del prestatore non può essere arbitrariamente vanificata dal datore di lavoro revocando il licenziamento in corso di giudizio allo scopo di impedire, per intervenuta cassazione della materia del contendere (dal momento che viene posto nel nulla l’atto risolutivo sul quale discutere) la pronuncia giudiziale di condanna alla reintegra; onde l’invito a riprendere il lavoro, non seguito da una ricostituzione, di fatto del rapporto, non è sufficiente a far venir meno l’attualità dell’obbligo di reintegrazione e a sottrarre al prestatore il diritto di opzione, il cui esercizio verrebbe altrimenti ad essere rimesso di fatto al datore di lavoro. Solo in un caso, sottolinea la giurisprudenza costituzionale e di legittimità, va escluso che l’opzione possa essere esercita: nel caso cioé in cui il lavoratore abbia accettato, espressamente o tacitamente, di riprendere servizio, per tale ragione facendo venir meno l’attualità di reintegrazione.
Le già ricordate decisioni di giurisprudenza di legittimità si sono espressamente affermativamente, anche sulla questione relativa alla possibilità per il lavoratore illegittimamente licenziato di chiedere la indennità sostitutiva in seguito alla revoca del licenziamento e in luogo della ricostituzione del rapporto, senza dover attendere una sentenza che ordini (o condanni al)la reintegra.
E, in realtà, se, come si è detto, il diritto alla indennità sostitutiva è collegato causalmente, come il diritto alla reintegrazione, alla illegittimità del recesso, appare del tutto incongruo che il lavoratore debba richiedere, quale mezzo al fine, la condanna del datore ad una reintegrazione alla quale ha già deciso di rinunciare non accettando l’invito alla ripresa dei servizio o che entrambe le parti siano tenuto, inoltre ad attendere la conclusione dell’iter giudiziario nonché del successivo procedimento previsto dall’art. 18 citato (l’invito del datore di lavoro a riprendere servizio etc.).
L’interpretazione accolta nel caso in esame ha il pregio di delineare “ab initio” l’effettivo oggetto della controversia, con la conseguente facoltà, per il datore di lavoro, di liberarsi da ogni obbligazione a suo carico ove riconosca spontaneamente, revocandolo, la illegittimità da lui intimato (l’invito) rivolto al lavoratore a riprendere servizio pone termine, invero, alla situazione di “mora credendi” in cui il datore versa nell’ipotesi di licenziamento illegittimo e, fa venir meno, per il periodo successivo, ove il prestatore non accetti la ricostituzione del rapporto, preferendo optare per le quindici mensilità, il suo diritto alla indennità risarcitoria commisurata dall’articolo 18, comma 4 – alle retribuzioni decorse dal momento del recesso sino a quello dell’effettiva reintegrazione). Non osta a tale conclusione il dato testuale dell’art. 18, comma 5, laddove, dopo aver previsto il diritto di opzione in favore del lavoratore il cui licenziamento sia stato dichiarato illegittimo, stabilisce che, qualora il lavoratore medesimo, entro trenta giorni dal ricevimento dell’invito del datore di lavoro (successivo alla sentenza di reintegra) non abbia ripreso il servizio, né abbia richiesto, sempre nello stesso termine, decorrente dal deposito della sentenza, il pagamento della indennità sostitutiva, il rapporto di lavoro si intende risolto.
É, infatti, evidente che la norma si limita a fissare il termine finale per l’esercizio della facoltà di opzione (nell’ovvia, esigenza di contenere in tempi ragionevoli la situazione di incertezza conseguente ad una pronunzia di accoglimento) ma non stabilisce affatto un termine giudiziale per l’attivazione di quel potere di scelta.
Ne è di ostacolo a una ricostruzione siffatta della “voluntas legis” il rilievo che l’art. 18 citato, anziché sancire direttamente il diritto del lavoratore illegittimamente, licenziato ad ottenere la reintegrazione e il risarcimento del danno nonché i corrispondenti obblighi del datore di lavoro, si rivolge al giudice, che “con la sentenza… ordina al datore di lavoro… di reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro” (comma 1) e il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore…” (comma 4).
(Altalex, 26 aprile 2010. Nota di Rocchina Staiano)
Fonte: http://www.altalex.com/index.php?idu=143290&cmd5=ac265b1bc42e01dbe234216e9f6c78ee&idnot=49867