Imponibili le prestazioni rese da un soggetto Usa relative alla realizzazione di un complesso sul territorio dello Stato
La Corte di cassazione, con la sentenza 12834 del 26 maggio, ha stabilito che devono essere regolarmente fatturate, e sono imponibili ai fini Iva, le consulenze fatte all’estero su immobili siti in Italia o, comunque, su contratti utilizzati nel territorio dello Stato. Linea dura della Cassazione, dunque, sulle consulenze effettuate da un cittadino extracomunitario, respingendo il ricorso di una società che non aveva autofatturato la prestazione ricevuta.
La vicenda di fatto
Premesso che l’oggetto della controversia concerne i criteri di imposizione per i servizi resi a soggetti che hanno il domicilio nel territorio italiano da soggetti non residenti, una società per azioni impugna un avviso di rettifica Iva con il quale il competente ufficio finanziario contestava, tra l’altro, l’omessa (auto)fatturazione di prestazioni di servizi resi alla società stessa da un cittadino americano, relative alla locazione di beni immobili ubicati in Italia.
Nel ricorso introduttivo, la società eccepisce l’invalidità dell’atto impositivo concernente, in particolare, una consulenza resa da un soggetto extracomunitario, con mandato svolto negli Stati Uniti, quindi fuori del campo di applicazione dell’imposta.
La Commissione provinciale adita, aderendo alle prospettazioni del contribuente, accoglie il ricorso, rilevando pedissequamente che le prestazioni di cui trattasi rese dal cittadino straniero erano da considerare fuori campo Iva in quanto extraterritoriali, proprio perché rese da soggetto non residente nei confronti di un operatore nazionale.
Il giudicato viene completamente ribaltato dalla Commissione regionale, la quale, nell’accogliere i rilievi dell’ufficio, ha considerato che la consulenza in questione, proprio perché afferente a immobili situati in Italia, era soggetta a Iva ai sensi dell’articolo 7, comma 4, lettera a), Dpr 633/1972, testo vigente ratione temporis (occorre tenere presente al riguardo che, in virtù delle sostanziali modifiche apportate alla materia della territorialità dal Dlgs 18/2010, conseguente alla direttiva 2008/8/Ce, dal 1° gennaio 2010 le regole sulle prestazioni di servizi sono completamente innovate rispetto al regime pregresso, passandosi dal criterio di tassazione nel Paese di stabilimento del prestatore a quello di tassazione nel Paese del cliente).
Più specificamente, nella sentenza impugnata è espressamente enunciato che, dal processo verbale di constatazione della Guardia di finanza, propedeutico all’atto impositivo opposto, risulta inequivocabilmente che le prestazioni rese erano relative a operazioni in corso di esecuzione, poi regolarmente concluse, sul territorio dello Stato, di un complesso immobiliare da destinare in locazione alle forze navali Usa, in correlazione alla delocalizzazione della relativa struttura. Pertanto, secondo il giudice dell’appello, le operazioni in esame, “indipendentemente dal luogo in cui sono state svolte, rientrano senza dubbio fra quelle inerenti alla prestazione e al coordinamento dell’esecuzione dei lavori immobiliari”, considerate sempre imponibili ai fini Iva dall’articolo 7, comma 4, lettera a), del Dpr 633/1972 quando l’immobile è situato nel territorio dello Stato.
La sentenza del riesame viene contestata con ricorso per cassazione, con il quale la società denuncia violazione dell’articolo 7, comma 4, lettere a) e d), del Dpr 633/1972, anche in relazione all’articolo 9 della sesta direttiva comunitaria, sostenendo – al contrario – che il commissionario ha svolto in America attività di “lobbing”, in esecuzione di un incarico di consulenza conferito dalla società, per cui la fattispecie sarebbe fuori ambito applicativo Iva, in forza non della lettera a), come deciso dalla Commissione di seconde cure, bensì della lettera d), anche perchè il giudice dell’appello, in carenza di motivazione, non avrebbe comunque spiegato quale sia stata, in concreto, l'”afferenza” della prestazione in questione all’immobile oggetto di trattativa così da comportare l’assoggettamento al tributo.
Si aggiunge al riguardo, per completezza sistematica, che, ai sensi dell’articolo 17 del Dpr 633/1972, l’Iva è dovuta dai soggetti che effettuano le cessioni di beni e le prestazioni di servizi imponibili, i quali devono versarla all’erario, al netto dell’imposta detraibile (articolo 19), e che gli obblighi e i diritti formali e sostanziali relativamente a operazioni effettuate nel territorio dello Stato da o nei confronti di soggetti non residenti e senza stabile organizzazione in Italia, possono essere adempiuti o esercitati, nei modi ordinari, da un rappresentante residente nel territorio dello Stato. Il successivo comma 3 dispone che, in mancanza di un rappresentante in Italia, le incombenze relative alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate nel territorio nazionale da soggetti residenti all’estero, rese da soggetti residenti all’estero a soggetti residenti nello Stato, devono essere adempiute dai cessionari o committenti che acquistino i beni o utilizzino i servizi nell’esercizio di imprese, arti o professioni. L’onere è assolto mediante emissione di “autofattura” da registrare sia nel registro delle fatture emesse sia nel registro degli acquisti (v. risoluzione 144/1999).
La decisione della Cassazione
La Corte suprema ritiene che il ricorso non possa trovare accoglimento e argomenta a tal fine che la tesi propugnata dalla contribuente – circa l’attività di “lobbing” svolta dal commissionario estero – è del tutto nuova, e che l’operazione che si porrebbe al di fuori dell’ambito applicativo Iva è smentita dalle esplicite ed esaustive trame motivazionali espresse dal giudice di appello.
In particolare, la tesi prospettata dalla ricorrente intenderebbe che la lettera d), che esclude dal prelievo Iva le prestazioni derivanti da contratti di consulenza tecnica o legale utilizzate fuori dalla Ue, sarebbe in rapporto da genus ad speciem, ossia di prevalenza rispetto alla regola generale condensata nella precedente lettera a), che assoggetta a prelievo le prestazioni di servizi relativi a beni immobili situati nel territorio dello Stato.
Prima di analizzare il punto di diritto esplicitato dalla sentenza 12834/2010, occorre premettere che il giudice di legittimità smonta anche l’asserzione della ricorrente asserente che la dizione con la quale sono state annotate le fatture dell’operatore americano non sarebbe tale da consentire l’individuazione concreta del tipo di prestazione fornita, e argomenta, in contrario, che dal verbale di constatazione emerge che l’attività rilevata dai verificatori in sede ispettiva concerne proprio “consulenze” e “progettazioni”. Semmai, al riguardo non risulta osservato l’onere della prova (articolo 2697 codice civile), in quanto la società non ha offerto – per demolire l’assunto dell’ufficio – una “differente e credibile” lettura dell’annotazione stessa, considerando che la teoria della cosiddetta attività di “lobbing” richiede una verifica in concreto mediante accertamento in fatto, ma tale postulato non esclude comunque che l’attività del prestatore sia stata svolta per agevolare le operazioni di trasferimento nell’immobile di cui si discute.
Al riguardo, applicando il principio di diritto emergente da consolidate pronunce di legittimità (tra le altre, Cassazione 17841/2004, 11205/2007, 16423/2008, 26312/2009, 10148/2010), all’Amministrazione finanziaria bastava provare – per procedere al relativo recupero dell’imposta – che si trattava di una prestazione fornita a favore di una società domiciliata in Italia, al contribuente che se ne è avvantaggiato dimostrare tutte le circostanze di fatto che rendono le prestazione ricevuta fuori campo Iva. La società ha però mancato di provare il proprio assunto.
Disciplina applicabile
La tesi della disciplina sostanziale formulata dalla ricorrente – che sostiene che tutte le prestazioni che si risolvano in consulenze sarebbero disciplinate dalla lettera d), mentre resterebbero disciplinate dalla lettera a) tutte le altre prestazioni di servizi, escluse appunto le consulenze – non viene ritenuta condivisibile dalla Suprema corte, la quale ritiene che la fattispecie in esame ricada nell’ambito del disposto disciplinato dalla lettera a), in quanto, in deroga al contenuto precettivo del comma 3 dell’articolo 7 (secondo cui le prestazioni di servizi si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono rese da soggetti che hanno il domicilio o la residenza nel territorio dello stesso), sono comunque imponibili in Italia “le prestazioni di servizi relativi a beni immobili, comprese le perizie… quando l’immobile è situato nel territorio” italiano (comma 4, lettera a).
In ogni caso, viene escluso che la tesi prospettata dalla ricorrente porterebbe alle conclusioni dalla stessa ipotizzata in quanto, argomenta il Collegio con tranciante valutazione, il rapporto di specialità tra le due disposizioni deve essere stabilito in base all’elemento caratterizzante, costituito dal riferimento all’immobile e non in base al tipo di prestazione, motivo per cui la pretesa manifestata dalla ricorrente contrasta con il dato testuale delle disposizioni de quibus, considerando che la fattispecie disciplinata dalla lettera a) riguarda tutte le prestazioni di servizi inerenti a immobili situati in Italia, “comprese” anche le perizie, le prestazioni di agenzia, ecc., locuzioni inserite dal legislatore nel disposto normativo proprio per chiarire che la localizzazione dell’immobile determina l’imponibilità in Italia delle prestazioni di servizio di ogni tipo. D’altronde, aggiunge la Corte, “il valore aggiunto prodotto da una prestazione di servizio in relazione ad immobile situato in Italia, è un valore che si realizza in Italia, dove perciò deve essere inciso”.
La lettera d), invece, riguarda soltanto le prestazioni di servizi – e quindi anche le consulenze – che non siano relative a immobili situati in Italia; cosicché le consulenze effettuate a favore di soggetti residenti sono comunque tassate in Italia, a meno che il contribuente non dimostri che sono state utilizzate fuori dell’ambito Cee.
Infatti, in tema di Iva, secondo il sistema tracciato dal legislatore, si considerano effettuate nel territorio dello Stato – quindi qui imponibili – le prestazioni di servizi rese da soggetti che hanno il domicilio nel territorio italiano o da soggetti ivi residenti che non abbiano stabilito il domicilio all’estero (articolo 7, comma 3, Dpr 633/1972) (collegamento soggettivo attivo); relative a beni immobili situati in Italia (articolo 7, comma 4, lettera a) (collegamento oggettivo); rese a soggetti domiciliati o residenti in Italia, salvo che non siano utilizzate fuori dell’Unione europea (articolo 7, comma 4, lett. d) (collegamento soggettivo passivo).
Conclusioni
La Suprema corte ha sufficientemente argomentato che, mancando la prova dell’utilizzazione extracomunitaria e, quindi, dell’extraterritorialità della prestazione, il caso trattato sfugge soltanto alla regola generale della tassazione collegata al soggetto attivo della stessa per rientrare “a pieno titolo” in entrambe le altre due previsioni: nella prima (lettera a) per il collegamento oggettivo (criterio comunque prevalente), nella seconda (lettera d) per il collegamento soggettivo passivo.
In ultima analisi, l’efficacia dirimente della confliggenza tra le opposte tesi è affidata alla considerazione che l’esclusione dal campo di applicazione dell’IVA della prestazione fornita da un soggetto non residente non è collegata al luogo in cui la prestazione sia stata fornita, ma al luogo in cui sia stata utilizzata (come nel caso di specie). Tra l’altro, la fattispecie non è stata arricchita da alcun elemento probatorio che possa portare univocamente ad avvalorare l’assunto del contribuente che la consulenza manchi del requisito della territorialità, ossia che sia stata effettivamente “utilizzata” negli Stati Uniti d’America, trattandosi della stipulazione di un contratto di locazione relativo a beni immobili esistenti in Italia, “presumibilmente” utilizzata nel territorio nazionale.
Peraltro, le conclusioni dell’articolata sentenza 12834/2010 sono confortate anche dal diritto comunitario, considerando che, per il disposto dell’articolo 9, par. 2, lett. a), della sesta direttiva 77/388/Cee (nel testo in vigore al tempo della contestazione), si intende come luogo delle prestazioni di servizi relative a un bene immobile, “quello dove il bene è situato”.
Per finire, è sicuramente condivisibile l’assunto della Suprema corte in quanto, in materia di Iva, vige il principio di territorialità dell’imposta, secondo il quale un’operazione si considera rilevante ai fini del tributo – ove ricorrano, evidentemente, gli altri presupposti, oggettivo o soggettivo, previsti dall’articolo 1 del Dpr 633/1972 – qualora venga effettuata nel territorio dello Stato.
Come del pari è apprezzabile l’analisi ermeneutica delle disposizioni contenute nell’articolo 7, commi 3 e 4, le quali, se non correttamente interpretate, porterebbero a risultati sicuramente sconcertanti rispetto ad una “corretta” tassazione delle prestazioni di servizi, in modo da non prestare il fianco a possibili operazioni evasive o elusive.
Salvatore Servidio
Fonte: http://www.nuovofiscooggi.it/giurisprudenza/articolo/ce-liva-le-consulenze-estere-su-immobili-localizzati-italia