Il film della settimana/“Gemini Man” di Ang Lee (Usa)

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Pietro Colagiovanni *


Ang Lee non ha bisogno di presentazione e la sua presenza è anche uno dei motivi principali che spinge a guardare questa megaproduzione (budget di 200 milioni di dollari) americano/cinese del 2019. Un altro motivo riguarda l’innovazione tecnologica su cui punta il film, girato con la tecnica del 3D+, una versione potenziata del 3D stereoscopico a 120 fotogrammi al secondo. Il cinema normale gira a 24 fotogrammi al secondo mentre i videogiochi arrivano al massimo a 60 fotogrammi al secondo.

Ma l’innovazione non si ferma qui. Il film presenta anche la prima forma compiuta di attore digitale, un attore nella forma umana e non di una creatura fantastica, come era sin qui accaduto. Il protagonista, il principe di Bel Air Will Smith recita insieme ad una sua versione più giovane di trenta anni, grazie al processo di motion capture. La storia è un classico dei giocattoloni hollywoodiani, su cui poi si innesta l’iperbole futurista che ha dato fama, con le sue visioni profetiche (terrorismo ed epidemie soprattutto) al cinema kolossal americana. Un sicario infallibile dei servizi segreti americani, dopo l’ultima eliminazione va in pensione. Subito dopo scopre che aveva ucciso qualcuno in base ad informazioni e dossier falsificati dagli stessi servizi da cui dipendeva. E diventa così a sua volta bersaglio.

Ma a cercare di eliminarlo è qualcuno molto particolare, davvero particolare, che sembra lui più giovane, di almeno trenta anni. E alla fine si scopre che, in effetti il sicario è proprio un suo clone, creato nei laboratori segreti di un’organizzazione affiliata ai servizi segreti americani. E lo scienziato che aveva ucciso nell’ultima missione prima del ritiro non era altro che colui che aveva permesso la clonazione e che voleva rivelare quanto aveva compiuto. Da qui la classica sequenza di sparatorie, inseguimenti, combattimenti di arti marziali classici di questi prodotti di azione, tutti pensati, o spiaggiati si potrebbe dire, sull’universo di un video gioco. Non riveliamo il finale anche se alla fine rientra nel normotipo di queste narrazioni.

Ang Lee, pluripremio Oscar (I segreti di Brokeback Mountain, La vita di Pi) è un grandissimo regista ed è anche un grande sperimentatore. La sensazione è che, in questo film, abbia privilegiato il secondo aspetto sul primo. Will Smith, anche clonato, è molto bravo ma il resto del cast, specie nei caratteri di contorno, non è allo stesso livello, a volte ricordando caratteristi di un serie televisiva di serie B.

La storia del doppio di per sé non è originalissima ma, con la potenza della computer grafica nella sua massima espressione, suscita inquietudine abbastanza profonde. Questo punto di forza però viene in parte annacquato dallo strumentario dei film d’azione, a volte prolisso (come qualche inseguimento o qualche combattimento di arti marziali tirato troppo per le lunghe) e che ne fa perdere gran parte del potenziale drammatico. La sensazione finale, dopo due ore di proiezione, è quella di un film sperimentale più che di un’opera compiuta, quasi un saggio sulle nuove frontiere tecnologiche della cinematografia moderna.

La mano registica di Ang Lee si vede nella fotografia, in alcuni panorami, specie marini, in una fotografia comunque suggestiva ma non riesce a fare la differenza. A volte anche i grandi si prendono, evidentemente, delle pause.
Voto 2,5/5


*imprenditore, comunicatore, fondatore del gruppo Terminus

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