Pietro Colagiovanni *
E’ un film di oltre 50 anni fa (1965) basato sul giallo di Agatha Christie Dieci piccoli indiani. Il regista, scomparso nel 2005, è Raja Nawathe, un nome significativo della cinematografia Hindi e la cui carriera iniziò sotto l’ombrello di uno tra i più importanti attori e registi indiani, Raj Kapoor.
Il thriller, che ovviamente risente della sua storicità, è interessante per diversi aspetti. Il primo, forse il più importante e quello per il quale è diventato poi famoso, è quello musicale. Il film è infatti anche un musical anticipando, quando Bollywood era ancora in fase embrionale, il format della narrazione recitata con lunghi intervalli canori e annesse danze. La colonna sonora venne ideata e realizzata dal duo Shankar Jaikhishan, tra i più grandi compositori della filmografia indiana, paragonabili a quello che è stato il compianto Ennio Morricone nella cinematografia occidentale.
Un vero e proprio capolavoro poi è il balletto ad inizio film al al suono di “Jaan Pehechan Ho” (frase che significa più o meno “conosciamoci meglio”) un rock&roll (potrebbe ricordare il Geghegè di Rita Pavone) trascinante e scatenante diventato poi un vero cult a livello mondiale. Un brano cantato da un’altra icona assoluta della musica indiana, Mohammed Rafi. Nel 1994 il brano venne sdoganato in Occidente dalla band indie californiana Heavenly Ten Stems ed ha la sua consacrazione in Ghost World di Terry Zwigoff per essere poi utilizzato dalla Heineken per un suo spot.
E’ forse il momento migliore del film che poi rientra nella narrazione classica del thriller. Su un’isola sette vincitori di una lotteria si ritrovano rinchiusi in una villa, con l’assistenza di un maggiordomo. Inizia da lì una sequenza di misteriosi omicidi dei singoli ospiti, legati tutti da un filo rosso risalente ad anni prima. Il tutto fino alla catarsi finale che scioglierà il sanguinoso enigma. Premesso che alcuni aspetti del film sono datati, la recitazione è molto intensa, con lunghi primi piani sul viso che ricordano tanto la cinematografia dei grandi registi sovietici. Il cast è di alto livello.
Tra gli attori infatti ci sono Nanda e Manoj Kumar, due autentiche star del cinema indiano. La fotografia è buona, con scelte indovinate per l’ambientazione di un thriller. Il film, proprio per la sua alternanza tra narrazione e musica è molto lungo (quasi due ore e mezzo) ed è abbastanza lento. Per noi, abituati all’action movie di Hollywood, alla sua frenesia da videogioco questo può risultare stancante o quantomeno straniante. Ma alla fine si tratta di un buon film, interessante soprattutto perchè ci apre le porte su uno dei più importanti centri di produzione filmica mondiale, Bollywood appunto.
Voto 3,5/5
*imprenditore, comunicatore, fondatore del gruppo Terminus
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