Il mondo del bere/ Twist On Classic Concept (seconda parte)

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di Paolo Santangelo*

(…) Il twist verticale consiste invece nell’aggiunta di un elemento ad una ricetta già di per se “funzionante” ed in genere veniva utilizzato quando arrivava un prodotto non collocabile in nessuna categoria relativa agli elementi costitutivi della ricetta. Un esempio perfetto risiede nel Manhattan. Intorno al 1870 si diffonde ampiamente il Vermouth in America (sebbene già noto qua e la sin dal 1838) ed inizia la sperimentazione da parte dei Bartender americani. Il Manhattan, indiscusso re dei cocktail a partire dal 1880 circa, nacque tra il 1848 ed il 1870, come spiega David Wondrich in molte pubblicazioni, probabilmente quale frutto delle sperimentazioni effettuate da (pochi) barman i cui bar (i più prestigiosi) avevano la novità in stock. Il twist verticale fu effettuato, per esempio, sull’Improved Whiskey Cocktail, allora molto popolare. Il drink era composto da Bourbon o Rye, zucchero, acqua, maraschino e Bitters. A guardar bene la struttura della ricetta, volendo fare un twist orizzontale, e guardando alla composizione del Vermouth, questo non rientra tecnicamente in nessuna delle categoria dei prodotti utilizzati nella ricetta. In realtà la nascita del Manhattan sarebbe stata possibile anche sostituendo lo zucchero ed il maraschino (considerandoli nell’insieme come dolcificante aromatizzato) con il Vermouth (anche questo potrebbe essere considerato dolcificante aromatizzato). Il risultato sarebbe Bourbon/Rye, Vermouth, acqua e Bitters. La teoria del twist orizzontale e verticale venne applicata anche oltre il pre-proibizionismo da parte dei Bartender americani a Cuba ed in Europa, che ebbero a disposizione una miriade di nuovi prodotti e che contribuirono alla nascita delle scuole di questi paesi. Harry Craddock, famoso per aver lavorato presso Hoffman House, Holland House, Waldorf Astoria e Knockerbocker Hotel a New York, scrisse nel 1930 The Savoy Cocktail Book. Il libro presenta circa 700 cocktail dei quali la maggior parte sono twist orizzontali e verticali di ricette classiche americane. Craddock contribuì inoltre alla fondazione della UKBG, l’associazione britannica dei bartender. Da Cuba, invece, Eddie Woelke tornò negli Stati Uniti, portando con se molti twist su ricette americane creati utilizzando il nuovissimo Cuban Light Rum; i drink sono immortalati sul suo libro The Barman Mentor, del 1939. Varianti più complesse si hanno in America a partire dal 1934, da parte di Donn Beach, creatore dello stile della mixology polinesiana, Donn basò i suoi twist (piuttosto verticali) su due ricette: Daiquiri e Planter’s Punch. Su tutti ebbero notevole spessore lo Zombie, il Cobra’s Fang e lo Shark’s Tooth.

Lo scopo principale di una variante sul classico è quello di migliorare la ricetta originale: laddove questo non possa accadere, è ovviamente preferibile la versione originale. Nell’ottica di un moderno Twist on Classic, un’importanza particolare va individuata in un corretto programma di Homemade. Per variare la ricetta di un Punch, sono un’ottima soluzione gli zuccheri semolati aromatizzati con spezie ed erbe essiccate, per realizzare un inusuale Oleo Saccharum. Infusi, decotti e sodati realizzati con tè, spezie, erbe aromatiche ed officinali, radici, rizomi e cortecce, possono rappresentare un valido mezzo per sostituire l’acqua di diluizione. Essi possono essere preparati in modo semplice ed apportano una notevole complessità al punch finale. Le infusioni consistono nel lasciare erbe, fiori e spezie delicate a contatto con acqua calda (80 gradi circa), per un periodo variabile da due a dieci minuti. I decotti, invece, prevedono di portare ad ebollizione acqua e solidi, in genere radici, cortecce e le spezie più dure, lasciando bollire il tutto per un periodo da tre a dieci minuti per poi lasciar raffreddare. Sciroppi, Liquori, Bitters e gli stessi infusi o decotti, possono essere utilizzati con successo anche nelle preparazioni dei cocktail del periodo pre-proibizionistico americano, come Sling, Toddy, Julep, Sangaree. In questi drink, infatti, la struttura è formata essenzialmente da acqua, zucchero, e spirit, che li rende facilmente twistabili. Per la preparazione degli sciroppi di fiori ed erbe delicate, è sufficiente mescolare gli infusi con zuccheri di varia natura (barbabietola, canna bianco, palma, demerara, muscovado, panela). Per ingredienti più “duri” si uniscono i decotti con lo zucchero. In entrambi i casi si lascia sciogliere lo zucchero aiutandosi con un pentolino.

In caso di frutta che necessiti di preservare l’acidità, come lamponi, passion fruit o ananas, è necessario procedere alla preparazione di uno sciroppo di zucchero da aggiungere alle polpe fresche ancora caldo ed effettuare un “flash cooling”, ovvero un raffreddamento veloce. Gli sciroppi a base d’infusi e decotti vanno lavorati con lo zucchero più adeguato ad una proporzione di due parti di zucchero ed una di infuso o decotto, in modo da raggiunge una densità di 66 gradi Brix (percentuale di zucchero nella composizione), ideale per evitare fermentazioni alcoliche e per una maggiore conservazione del prodotto. Gli sciroppi di frutta, per via della polpa e dei succhi presenti, avranno una minore presenza zuccherina (55 gradi Brix circa) e quindi una minore durata. La produzione di Liquori e Bitters si effettua tramite macerazione dei solidi in alcol. In alcuni casi la gradazione dell’alcol da utilizzare può raggiungere i 60/70 gradi, soprattutto se si devono macerare spezie dure come radici e cortecce. Via via che la struttura dei solidi diminuisce, anche la gradazione dell’alcol deve necessariamente essere minore, al fine di evitare spiacevoli sovraestrazioni tanniche o erbacee. Esistono comunque delle formule che permettono di calcolare esattamente la quantità di acqua da aggiungere all’alcol per ottenere le gradazioni desiderate. Nello specifico, per quanto concerne i liquori, la tecnica consiste nel macerare frutta, erbe o spezie in una soluzione idroalcolica per quindici giorni circa. A questa va poi aggiunta una quantità di zucchero variabile da 200 a 350 grammi per litro. Nei Bitters si possono utilizzare due metodi: macerazione promiscua di tutti gli ingredienti e macerazioni singole, dove ogni ingrediente viene macerato individualmente in una soluzione idroalcolica alla gradazione ideale e per adeguati periodi di tempo. La quantità di zucchero ideale per un bitters è di 100 grammi per litro, al massimo. Per i Bitters classici, più amari in virtù dell’utilizzo di cortecce e radici, si utilizza il caramello, mentre per quelli fruttati o floreali si preferisce lo sciroppo di zucchero bianco o di canna, ad esempio nell’Orange o nel Bergamotto Bitters.

Nel caso di vini aromatizzati, la preparazione è leggermente più complessa in quanto i botanical più delicati vanno macerati nel vino mentre i più duri e strutturati in alcol. Dopo un periodo di circa 15 giorni, i liquidi vanno filtrati, miscelati e dolcificati con zucchero o caramello. Tra le tecniche moderne, erroneamente chiamate molecolari, alcune risultano molto utili e fanno risparmiare fatica in termini di servizio al bar. Il problema qui è quello di scadere nella spettacolarizzazione della tecnica al fine di impressionare l’ospite, cosa che non deve mai accadere. L’affumicatura, ad esempio, può essere completamente disomogenea se applicata a ogni drink singolarmente: in sostanza, ogni drink otterrebbe un diverso livello di affumicatura ad ogni utilizzo della smoking gun. È sicuramente più efficiente utilizzare l’apparato per affumicare un unico ingrediente, al fine di ottenere la giusta costanza e ripetibilità di utilizzo: ad esempio possiamo riempire a metà un barattolo Quattro Stagioni con uno sciroppo di zucchero e insufflarlo con il fumo prodotto dalla smoking gun, utilizzando elementi aromatici quali tè, erbe officinali o spezie, e ripetendo l’operazione dopo un paio d’ore. Quando il livello di affumicatura avrà raggiunto l’aromaticità desiderata, possiamo utilizzare l’ingredienti nella consapevolezza che la ripetizione di un drink sarà costante ed identica. La carbonatura artificiale dei drink può essere ottenuta in diversi modi, anche se due possono essere considerati i più sicuri: Perlini Shaker o Isi Cream Syphon. In entrambi i casi gli apparati si utilizzano come comuni shakers, ai quali si aggiunge anidride carbonica per cui l’operazione di shake avviene in presenza di bollicine. Il drink ottenuto avrà un ottimo perlage e una texture cremosa. I costi elevati del Perlini Shaker consigliano di orientarsi su un sifone Isi da crema, visto che il sistema di funzionamento è pressoché lo stesso. I drink possono essere serviti direttamente straight up, on the rocks oppure imbottigliati in bottigliette stile crodino/tonica e tappate con tappo a corona (questo determina la gran parte del lavoro da effettuarsi prima del servizio). Una recente tendenza è quella di creare una doppia consistenza in un drink: è il caso dell’utilizzo di arie e velluti ottenibili con lecitina di soia o sucro estere. La lecitina produce delle spume estremamente ricche di aria e soffici mentre con il sucro si ottengono spume più compatte e dense. Non raccomando mai l’utilizzo della lecitina per via delle “offnotes” (sentori di cartone bagnato non sempre piacevoli), mentre faccio un buon utilizzo del sucro che permette più opportunità. Innanzitutto, si può utilizzare con miscele alcoliche e analcoliche, a differenza della lecitina che lavora solo in presenza di soluzioni analcoliche. Inoltre è possibile creare velluti neutri (a base di vodka, acqua e zucchero), nei quali utilizzare delle sostanze aromatizzanti da nebulizzare sulla superficie del drink oppure velluti aromatizzati con sciroppi e liquori, succhi o infusi.

Sebbene l’invecchiamento dei cocktail sia stato proposto già a partire dagli anni venti del secolo scorso, oggi è considerato un valore aggiunto per ogni bar di livello. Le tecniche comunemente utilizzate sono diverse e tutte puntano ad ossidazioni più o meno rapide. Un primo sistema può consistere nell’affinamento dei cocktail in bottiglia, seguendo le indicazioni relative ai vini tradizionali o fortificati come Porto, Marsala e Sherry. Per prima cosa, bisogna portare il cocktail a una gradazione adeguata e quindi aggiungere la quantità d’acqua necessaria per la diluizione in modo che le reazioni chimico fisiche siano possibili (massimo 22,25 gradi). In questo caso si punta ad un lento scambio d’ossigeno tra l’esterno e l’interno della bottiglia da effettuarsi in una cantina o in un luogo adeguato, cioè assenza di odori, con temperatura intorno ai 18 gradi e umidità non superiore ai 70 gradi. Dal momento che il passaggio di maggiori quantità di ossigeno velocizzano gli effetti dell’ossidazione, alcuni professionisti lasciano le miscele a diretto contatto con l’aria, in contenitori non tappati, ottenendo rapidi “invecchiamenti” dei liquidi contenuti. Questa tecnica “velocizzante” può essere accentuata lasciando in infusione alcuni chips di botti di rovere usate nel drink, in modo da costruire un profilo legnoso nella bevanda. I migliori e più affascinanti metodi risiedono nell’utilizzo del legno. L’invecchiamento di distillati e cocktail in piccole botti di rovere, ciliegio, gelso, acacia e castagno, è una tecnica molto in voga negli ultimi anni anche se, recentemente, è stato scoperto che alcune aziende, come la Heublein (in seguito Diageo) negli Stati Uniti, all’inizio del novecento vendevano cocktail invecchiati in botte e/o affinati in bottiglia.

La tecnica consiste nel miscelare un drink senza ghiaccio, per evitare diluzioni, e di lasciarlo riposare in botte per un periodo più o meno lungo. La maturazione in legno ha lo scopo di ammorbidire, arrotondare gli “spigoli” del liquido contenuto e renderlo quindi più armonico. Questa armonia avviene tramite un lento scambio di ossigeno che favorisce la polimerizzazione delle molecole del drink/distillato. Inoltre, alcuni legni cedono i cosiddetti “Tannini Gallici” o “Nobili” che si fondono con quelli eventualmente presenti nel liquido, creando lunghe catene che lo rendono più elegante e “snello”. Infine, il legno cede al liquido contenuto la sua aromaticità, arricchendolo di aroma e gusto. Tanto più grande è la botte tanto più tempo sarà necessario al liquido per maturare.

*bar manager ed esperto horeca

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