La class action deve puntare a ottenere un risarcimento. E non a un “semplice” accertamento di responsabilità. In termini più giuridici, il tipo di azione legale introdotto con l’articolo 140 bis del Codice del consumo è di natura risarcitoria e non puramente accertativo. Questo uno dei punti fermi più rilevanti messo dalla Corte d’appello di Torino con l’ordinanza del 28 ottobre con la quale è stato giudicato infondato il reclamo presentato dal presidente del Codacons Carlo Rienzi contro il provvedimento del giugno scorso che aveva giudicato inammissibile l’azione collettiva intentata contro Intesa San Paolo per le commissioni di massimo scoperto. L’ordinanza legge la normativa precisando che viene attribuito al consumatore utente il diritto di proporre l’azione di classe per l’accertamento della responsabilità dell’impresa, ma questo accertamento è esplicitamente collegato alla richiesta di condanna al risarcimento del danno: «la formulazione testuale della norma, in definitiva, esclude qualsivoglia rapporto di alternatività tra accertamento e condanna; essendo il primo, nella ricostruzione del modello normativo, un semplice presupposto logico giuridico della seconda (attinente alla causa petendi)».
Il ricorso, d’altra parte, sottolineava come l’interesse ad agire non può essere escluso (come invece avevano fatto i giudici in primo grado) dall’obiettivo, raggiungibile solo con un’azione giudiziaria, di rimuovere una situazione di incertezza giuridica sull’esistenza, validità o efficacia di una clausola contrattuale. Indipendentemente cioè dall’applicazione della clausola stessa, l’interesse ad agire poteva, per il Codacons, anche essere individuato nell’eliminazione della disposizione contrattuale.
Tesi però non condivisa dalla Corte d’appello. Che fa invece notare come siano molte le misure del Codice del consumo che convergono nel delineare la class action come strumento risarcitorio. A partire dal comma 12 che stabilisce espressamente come l’accoglimento della domanda ha come conseguenza la pronuncia di una sentenza di condanna con la quale il giudice deve liquidare le somme dovute a titolo di indennizzo del danno oppure precisare i criteri in base ai quali effettuare il risarcimento. In questo senso milita anche il carattere di provvisoria esecutività della sentenza.
«Del resto – osservano ancora i giudici torinesi –, alquanto paradossale (anche perché confliggente con le finalità di tutela dei consumatori che si sono perseguite) sarebbe un’interpretazione in forza della quale l’azione restitutoria o risarcitoria, individuale o di classe, venisse preclusa dall’adesione da parte del consumatore ad un’azione di accertamento “mero”». Quanto alle sollecitazioni di interventi particolarmente creativi in materia, l’ordinanza replica che il legislatore è stato consapevole della forza innovativa della class action. Tanto da avere, per esempio, permettere l’estensione dell’azione di classe solo in forza di un’adesione da parte dei singoli consumatori (opt in), a differenza di ordinamenti che istituzionalizzano la classe e prevedono semmai un recesso (opt out). In questa prospettiva, l’azione di classe resta un’azione individuale soggetta un regime speciale che permette, tra l’altro, ai consumatori di partecipare agli effetti del giudicato non nelle forme tradizionali dell’intervento disciplinato dal Codice di procedura civile ma attraverso una semplice dichiarazione di adesione.
Dall’ordinanza arriva poi una piena adesione, al di là dei dubbi di costituzionalità sollevati, al filtro di ammissibilità: un filtro a tutela degli stessi consumatori, che, in questo modo, sono messi nella condizione evitare di aderire a proposte di class action evidentemente infondate.
L’indennizzo – Corte d’appello di Torino ordinanza 28 ottobre 2010
L’osservazione è dirimente, poiché il tipo legale di azione al quale l’avvocato Rienzi ha fatto ricorso, ex articolo140-bis, codice consumo, è di natura risarcitoria, non già meramente accertativa. Plurimi elementi sostengono questa conclusione.
Se è vero che la norma (l° comma) attribuisce espressamente al consumatore-utente il diritto di proporre l’azione di classe “per l’accertamento della responsabilità” dell’impresa, altrettanto indubbio è che – mediante la congiunzione “e” – tale accertamento viene dal legislatore considerato non già nella sua autosufficienza a legittimare l’azione, bensì nella sua contestuale e necessaria funzionalità all’ottenimento di una sentenza di “condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni”. La formulazione testuale della norma, in definitiva, esclude qualsivoglia rapporto di alternatività tra accertamento e condanna; essendo il primo, nella ricostruzione del modello normativo, un semplice presupposto logico-giuridico della seconda (attinente alla causa petendi).
Fonte: OUA