Crisi alimentare: gli effetti del clima molto più gravi della guerra ucraina

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Che la crisi alimentare sarebbe arrivata lo aveva denunciato, ben prima della guerra in Ucraina, il World Food Programme; che ciò avrebbe potuto determinare una carestia acuta per oltre 250 milioni di persone nel mondo e carenza di cibo per 1,6 miliardi di persone contro i 440 milioni (stimati negli anni precedenti) era contenuto in un documento dettagliato sulla crisi alimentare. Questa previsione era basata sugli effetti della crisi climatica sulle produzioni agricole mondiali. “Poi è arrivata la guerra che, con la chiusura dei porti ucraini e il conseguente stop all’esportazione, – sottolinea il presidente della Federazione italiana agenti marittimi, Alessandro Santi – ha assestato un ulteriore colpo con un rapido incremento dei prezzi di tutti i cereali a livello mondiale (+ 20% secondo il food price index dell’ONU con picchi di incremento superiori al 70% su alcune rinfuse come il grano)”.

Mentre la riapertura delle esportazioni dai porti ucraini (3 milioni di tonnellate in agosto e una stima di 6 in ottobre) sta producendo un effetto calmierante sui prezzi, sottolinea Santi, clima e siccità continuano e continueranno a imperversare (la stagione in Europa si presenta con una stima globale al ribasso della raccolta di mais e di soia superiori al 15% rispetto alla media degli ultimi 5 anni; in America si stima una riduzione di almeno il 5% del mais) e per l’Italia il conto finale dei danni potrebbe risultare ancora peggiore.

La scarsità e imprevedibilità delle produzioni hanno determinato un effetto sui prezzi molto più impattante di quello della guerra: il food index è aumentato nel mese di agosto di quest’anno di ‘solo’ l’8% rispetto al 2021, ma del 34% rispetto alla media degli ultimi 5 anni: in particolare il mais e l’olio vegetale sono aumentati nello stesso periodo rispettivamente del 45% e del 93%. In Italia ci potremmo aspettare per l’effetto combinato di siccità e scarsità di acqua, una richiesta di import via mare nei prossimi 12 mesi di una quantità di mais comunque superiore ai 3 milioni di tonnellate.

“E qui – aggiunge il Presidente di Federagenti – iniziano i guai seri: con una pressione sui porti superiore al 30% rispetto quella media degli ultimi anni (mediamente attorno ai 10 milioni di tonnellate di prodotti agroalimentari alla rinfusa in import), e definitivamente archiviate le tesi dell’autarchia e dell’autosufficienza agricola che spingerebbero il Paese verso la fame e la chiusura dell’industria agroalimentare oggi trainante per il suo export, il rischio di stress della catena logistica potrebbe diventare concreto”.

Invece, malgrado gli appelli e le denunce di Federagenti, poco è stato fatto per rendere le nostre catene di approvvigionamento solide, performanti, sostenibili ambientalmente e pronte alla diversificazione necessaria per difendere le scelte strategiche e di politica internazionale del paese. Il mais oggi nei volumi previsti non ha in Italia spazi e banchine sufficienti a reggere l’urto: pescaggi necessari per le navi che per le originazioni oggi possibili (ad esempio dal Brasile) possono vedere tagliati fuori porti in attesa di dragaggi da anni, aree di stoccaggio portuali e retroportuali non sufficienti, per inerzie di varia natura, e infine logistica interna (camion e treno) in grande sofferenza nel post pandemia, come riscontrato in tutti i porti e retroporti del mondo per la scarsità di risorse innanzitutto umane e gli alti costi del carburante.

“E paradossalmente ciò accade nel momento in cui assistiamo a forti incertezze nell’efficienza logistica nord-europea, a causa del brusco calo nel livello dei fiumi e dei canali che compongono la rete fluviale centro europea. Momento in cui – conclude il Presidente di Federagenti – questi fenomeni riportano al centro il Mediterraneo, rilanciando i porti nord adriatici e proponendoli proprio, per agroalimentare e altre materie prime industriali, come piattaforma marittima di riferimento per Austria e sud della Germania, erodendo la quota della portualità del Nord Europa.”

Per ulteriori informazioni Barbara Gazzale