Dalla Guardiacostiera riceviamo e pubblichiamo
Personale della Capitaneria di porto – Guardia Costiera, a seguito di una complessa attività di indagine, condotta sotto il coordinamento investigativo della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce, ha posto in esecuzione apposito decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. del Tribunale di Lecce su richiesta del P.M. Milto Stefano De Nozza, attraverso cui si ritiene di avere smantellato una articolata catena ecocriminale dedita all’illecito smaltimento di rifiuti pericolosi operante nell’intera Provincia di Taranto.
Le attività investigative, condotte per mesi da parte della Guardia Costiera di Taranto legate ai lavori di rettifica, allargamento e adeguamento strutturale della banchina di levante del molo San Cataldo e di quelli di consolidamento della calata del porto di Taranto, hanno permesso di ipotizzare l’esistenza di una articolata organizzazione dedita al traffico illecito di rifiuti, composta da tre società, che con più operazioni continuative e attraverso l’allestimento di più mezzi ad essa strumentali, avrebbero posto in essere una strutturata ed abusiva gestione nelle tre fasi di produzione, trasporto e smaltimento, di ingenti quantità di rifiuti pari a 16.264, 75 tonnellate di terre e rocce da scavo (C.E.R. 17.05.04) molti dei quali privi delle analisi di caratterizzazione e parti dei quali costituiti da fanghi di dragaggio (CER 17.05.06) illecitamente qualificati terre e rocce da scavo – nonchè materiali misti di demolizione (CER 17-09.04) – interamente conferiti presso un impianto esclusivamente a suo tempo autorizzato al recupero in procedura semplificata, e ivi smaltiti mediante tombamento così trasformando detto sito di stoccaggio per il recupero in un sito di smaltimento e, quindi, in una verosimile discarica abusiva di oltre 40.000 metri quadrati circa di estensione e ciò al fine di conseguire un ingiusto profitto.
Tre le società coinvolte, otto, invece, i soggetti indagati a vario titolo di quanto contestato, nei cui confronti, in aggiunta alla sospensione dei relativi titoli abilitativi all’esercizio delle attività si è, altresì, proceduto al sequestro preventivo finalizzato alla confisca obbligatoria del profitto di reato ex artt. 19, 25 undicies e 53 del d.lvo 231/2001, in relazione al reato di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti di cui all’art. 452 quaterdecies, dei saldi attivi di conti correnti bancari e/o postali, ovvero in forma di sequestro per equivalente di un ammontare complessivo di oltre 1.200.000 Euro.
Nel corso della medesima operazione si è, inoltre, proceduto:
- al sequestro di cinque motrici e relativi rimorchi di proprietà della società incaricata del trasporto dei rifiuti dal sito di produzione al luogo di illecito smaltimento;
- al sequestro di una cava dismessa destinata a discarica abusiva che si estende per una superficie complessiva di circa quattro ettari di terreno avente capacità contenitiva accertata di oltre 300.000 metri cubi, in cui risultano illecitamente tombati in un lungo arco temporale migliaia di tonnellate di rifiuti indiscriminati.
Le attività investigative, protrattesi per mesi da parte del nucleo di polizia giudiziaria della Guardia Costiera di Taranto attraverso l’utilizzo di investigazioni di natura tecnica e documentale, hanno consentito, di ricostruire e cristallizzare in termini di dettaglio un quadro di responsabilità di notevole complessità con gravi ripercussioni di natura ambientale.
In particolare l’analisi delle condotte illecite poste in essere dalle società coinvolte, nonché la disamina dei flussi economici, della relativa documentazione fiscale e dei F.I.R, ha consentito di ipotizzare un significativo profitto economico consistito nell’effettivo ingiusto guadagno ottenuto dal mancato recupero di ingenti quantità di rifiuti protrattosi per mesi e nel loro tombamento mediante realizzazione di una discarica abusiva all’uopo realizzata e sottoposta a sequestro, a cui si aggiunge l’evidente compromissione e deterioramento ambientale conseguenti a tali condotte, atteso che i rifiuti in parola provengono da un’area SIN (sito di interesse nazionale), presentanti concentrazioni di inquinanti superiori ai limiti tabellari di legge stabiliti dal Testo Unico Ambientale .
Nell’ambito delle complesse attività investigative poste in essere dalla Guardia Costiera di Taranto veniva ipotizzato che la Società appaltatrice dei lavori produttrice dei rifiuti derivanti dai processi di dragaggio, demolizione ed escavazione, affidava gli stessi a specifica ditta di trasporto che a sua volta, in assenza delle doverose e prescritte caratterizzazioni di non pericolosità legate alla particolare natura inquinante dei rifiuti di che trattasi, procedeva al suo conferimento e successivo tombamento, non in una discarica a tal fine autorizzata, bensì, in una cava di tufo di ingenti dimensioni contenitive ubicata nel Comune di Massafra (TA) località Canonico, non rivestente, in quanto tale, la qualifica di discarica in senso tecnico, in quanto la relativa autorizzazione a ricevere rifiuti come discarica era scaduta sin dal 2008 e non era mai stata rinnovata .
Le fittissime attività di controllo poste in essere dalla Guardia Costiera tarantina che – attraverso l’utilizzo di tecnologie investigative atte a tracciarne i relativi percorsi – ha monitorato per mesi decine di trasporti del materiale suddetto dal luogo di produzione a quello di illecito smaltimento, hanno consentito di ipotizzare che siffatto sito da tempo inutilizzato veniva abusivamente impiegato come discarica di rifiuti e non come centro di recupero, in tal modo eludendo la prescritta disciplina di settore così ottenendo il conseguente abbattimento dei costi di smaltimento che sarebbero stati esponenzialmente più alti laddove fosse avvenuto in modo corretto.
Il complesso quadro indiziario ricostruito in sede di indagine, ha consentito di costruire un sistema di smaltimento che – basato su una precisa volontà di reiterazione temporale della condotta criminale posta in essere –sarebbe connotato da una forte organizzazione e collaborazione tra le tre società componenti la filiera ecocriminale di che trattasi, tutte parimenti coinvolte, nel quale ciascuna di esse assicurava un segmento necessario della condotta illecita funzionale alla distruzione dei rifiuti in spregio alla normativa vigente, adoperandosi alla consumazione continuativa e sistematica dei gravi illeciti realizzati, recanti ingenti danni ambientali sotto forma di inquinamento del territorio, in un’area geografica già fortemente penalizzata sotto tale profilo.
E lo stesso contenuto delle intercettazioni risulterebbe esemplificativo della precipua chiara e univoca volontà a delinquere da parte di dette imprese (che, invece, per connotazione specifica di filiera imprenditoriale di appartenenza avrebbero dovuto essere preposte a preservare l’equilibrio delle matrici ambientali), nel reiterare la condotta allorquando si diceva che quei rifiuti non c’era “un ca…. da lavare” perché ritenuti non pericolosi.
La costante vigilanza ambientale dell’intero Compartimento marittimo di Taranto che si estende per 190 chilometri fino ad abbracciare l’intera Basilicata Jonica, portata avanti dalle donne e dagli uomini della Guardia Costiera Taranto in stretto coordinamento con la compente Autorità giudiziaria, ha così consentito, di ipotizzare l’esistenza di una illecita filiera economico/produttiva connotata dal mero ed esclusivo scopo di lucro, a danno e detrimento del “bene” ambiente e della salute dei cittadini.
Tale attività di capillare monitoraggio ambientale che già nello scorso mese febbraio ha portato al sequestro di due dei più importanti siti in uso ad altrettante società esercitanti, nella provincia Jonica, attività di estrazione materiali da cava e di recupero rifiuti, adibiti ad abusive discariche di rifiuti, continueranno senza sosta da parte della Guardia Costiera a salvaguardia e tutela di detti valori primari costituzionalmente protetti al fine di contrastare in maniera sempre più incisiva ogni tentativo di spoliazione e aggressione da parte dell’ecocriminalità organizzata.