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Sky, smart card e clausole vessatorie

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Per quanto riguarda i servizi satellitari offerti da Sky, l’utilizzo della smart card, e le clausole vessatorie, a Casarano il Giudice di Pace ha emesso una importante sentenza riguardo al caso di un utente che, dopo attività ispettiva da parte di un incaricato di Sky Italia, avrebbe utilizzato la smart card non in ambito domestico bensì in un bar, ovverosia in un luogo pubblico. Ebbene, in accordo con quanto riferisce Giovanni D’Agata, Componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” dell’Italia dei Valori (Idv), il Giudice di Pace ha dichiarato la nullità della grossa penale richiesta da Sky Italia per l’utilizzo della smart card fuori dall’ambiente domestico.
In particolare, la pretesa di pagamento è stata giudicata illegittima in quanto è stato dichiarato nullo il verbale ispettivo anche a seguito del fatto che l’ispettore nel corso del controllo non solo non ha individuato tra i presenti il titolare del bar, ma non ha neanche provveduto a farsi riconoscere e individuare attraverso la presentazione di un documento valido.

L’Avv. Albano Adorno, Giudice di Pace di Casarano, ha inoltre ritenuto vessatoria la clausola che stabilisce il foro diverso da quello coincidente con il domicilio elettivo o con il comune di residenza dell’abbonato alla televisione satellitare; allo stesso modo, tra le motivazioni che hanno portato alla nullità del verbale dell’ispettore c’è quella relativa proprio al fatto che la verbalizzazione abbia assunto i caratteri dell’unilateralità.

Il contratto scritto, inoltre, secondo il Giudice, contiene tra le altre una clausola vessatoria data proprio dalla penale prevista in caso di utilizzo scorretto della smart card, ragion per cui spetta all’ispettore provare in termini economici l’entità del danno affinché si possa “valutare il pregiudizio ed escludere lo squilibrio dei diritti in relazione al contratto sottoscritto“.
Fonte: http://www.vostrisoldi.it/articolo/sky-smart-card-e-clausole-vessatorie/26383/

Buoni lavoro e cassa integrazione, sono cumulabili

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E’ possibile percepire la cassa integrazione e contemporaneamente effettuare prestazioni di lavoro occasionale? Ebbene, la risposta è affermativa grazie alle recenti norme introdotte dal Governo in materia di lavoro al fine di garantire l’integrazione del reddito per quei nuclei familiari colpiti dalla crisi. E’ così possibile percepire la CIG e cumulare il beneficio legato al percepimento della paga con i buoni lavoro a patto che non si superi il massimo annuale fissato a 3.000 euro.
A fornire gli indirizzi operativi in merito è stato l’INPS, Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale, a fronte di una misura come quella dei buoni lavoro che sta riscuotendo un buon successo, e che sta contribuendo a far emergere “vecchi” rapporti di lavoro in nero. E’ così possibile, ad esempio, percepire la CIG e lavorare nei campi con prestazioni occasionali remunerate con buoni lavoro aventi un taglio minimo di 10 euro lordi; di questi dieci euro 7,5 sono netti ed a favore del lavoratore, che li può incassare immediatamente presso un qualsiasi ufficio postale. I restanti 2,5 euro rappresentano invece i contributi previdenziali e le coperture ai fini INAIL.

Con i buoni lavoro, infatti, il soggetto che presta la collaborazione occasionale è perfettamente in regola, mentre il datore di lavoro può utilizzare i buoni, acquistandoli anche online sul sito Internet dell’INPS, senza bisogno di effettuare le comunicazioni standard quando invece c’è da assumere un lavoratore con contratto a tempo determinato o indeterminato.

La misura è valida anche e soprattutto per quei soggetti che, pur non percependo la CIG, hanno bisogno di integrare il proprio reddito; è il caso degli studenti o dei pensionati per integrare la pensione o per permettere allo studente di mantenersi gli studi con l’utilizzo dei buoni lavoro che, tra l’altro, è ammesso in questo caso anche per prestazioni occasionali presso l’università o gli Enti locali.
Fonte: http://www.vostrisoldi.it/articolo/buoni-lavoro-e-cassa-integrazione-sono-cumulabili/26395/

Approvato il decreto Romani sui servizi di media audiovisivi

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L’autorizzazione generale per i servizi tv a richiesta non comporta in alcun modo una valutazione preventiva sui contenuti, ma individua solamente il soggetto che la richiede con una dichiarazione di inizio attività.
E’ quanto previsto dal c.d. Decreto Romani, approvato lo scorso primo marzo che recepisce la direttiva 2007/65 (meglio nota come Audiovisual Media Services, AVMS) in materia di esercizio di attività televisiva, il cui obiettivo è quello di creare un quadro moderno, flessibile e semplificato per i contenuti audiovisivi, anche attraverso una nuova definizione dei servizi di media audiovisivi, svincolata dalle tecniche di trasmissione.
Siti internet tradizionali, blog, motori di ricerca, versioni on line di quotidiani e riviste restano fuori dalle nuove norme.
Per quanto concerne il fronte dell’audiovisivo, tornano gli obblighi di programmazione di prodotto italiano ed europeo per tutti gli operatori (compresa la pay-tv),e le quote di programmazione e investimento previste per la Rai.
Chi diffonde su Internet servizi on demand, sempre sfruttandoli sul piano commerciale, deve presentare una dichiarazione di inizio attività all’Agcom: scompare l’autorizzazione generale del ministero e si precisa che la Dia non comporta in alcun modo una valutazione preventiva sui contenuti.
Vengono introdotte regole comuni a tutti i servizi che diffondono immagini in movimento su qualunque piattaforma; norme europee che prevedono regole più flessibili in materia di pubblicità, comprendendo anche il cosiddetto inserimento di prodotto (product placement) durante le trasmissioni televisive; disposizioni di rafforzamento della tutela dei minori, soprattutto per quanto riguarda la qualità della programmazione quotidiana’.
Le novità del decreto
La predisposizione di questo provvedimento, che incide sul decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, recante il Testo unico della radiotelevisione, è stata preceduta da una “dibattuta” fase di consultazione a cui hanno partecipato le associazioni del settore radiotelevisivo nazionale e locale, anche per le tecnologie innovative, operatori del settore comunicazioni elettroniche, associazioni degli utenti/consumatori, rappresentanti del settore editoriale, cinematografico, pubblicitario e produttivo connesso.
L’articolo 4 del testo fornisce una definizione di “servizio media audiovisivo” elencando una serie di categorie non soggette agli obblighi posti dal decreto.
In particolare per servizio media audiovisivo si intende la radiodiffusione (televisione analogica e digitale), il livestreaming, il webcasting (tv su internet), e video on demand.
Mentre non rientrano in questa definizione i servizi che esercitano attività non economiche e che non entrano in concorrenza con la radiodiffusione televisiva.
Vengono, altresì, esclusi:
la posta elettronica;
servizi che non forniscono programmi, e nei quali il servizio audiovisivo sia puramente incidentale rispetto all’attività principale e qui il testo inserisce ulteriori dettagli intendendo per questi ultimi:
giochi in linea;
motori di ricerca;
versioni elettroniche di quotidiani e riviste;
servizi testuali autonomi;
giochi d’azzardo.
Le principali novità previste dal decreto che, come già accennato, recepisce la direttiva europea sugli audiovisivi, introducendo la possibilità di fare pubblicità con il product placement anche nella tv italiana, possono essere riassunte nel seguente modo:
Tutela dei minori
Vengono recepite condizioni che rafforzano la tutela dei minori, soprattutto per quanto concerne la pornografia, estesa a tutte le piattaforme di trasmissione.
Ordinamento automatico dei canali
Si semplifica il posizionamento dei canali televisivi sul telecomando.
È stata prevista una sinergia tra l’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni (che predispone un piano di numerazione con criteri di salvaguardia in favore dell’emittenza locale) e il Ministero (che in sede operativa assegna i rispettivi numeri ai fornitori di contenuti televisivi), con potere di sospensione fino alla revoca dell’autorizzazione in caso di inosservanza.
Internet
Viene chiarito a quali servizi audiovisivi deve essere applicata la disciplina prevista dalla Direttiva, con un elenco dettagliato delle attività escluse (tra cui i siti Internet tradizionali, come i blog, i motori di ricerca, versioni elettroniche di quotidiani e riviste, giochi on line).
È stato, altresì, specificato che il regime dell’autorizzazione generale per i servizi a richiesta (diversi dalla televisione tradizionale, con palinsesto predefinito) non comporta in alcun modo una valutazione preventiva sui contenuti diffusi, ma solo una necessità di mera individuazione del soggetto che la richiede con una semplice dichiarazione di inizio attività.
Produzione audiovisiva
Sono stati reintrodotti gli obblighi di programmazione per tutti gli operatori (compresa la pay-tv), nonchè le quote di programmazione e di investimento previsti per la Rai e l’accorciamento dei tempi per l’emanazione del regolamento nel cui ambito dovranno essere fissate le sottoquote in favore della cinematografia nazionale, non solo per quanto attiene agli obblighi di investimento, ma anche di programmazione.
(Altalex, 15 marzo 2010. Nota di Manuela Rinaldi)
Fonte: http://www.altalex.com/index.php?idu=143290&cmd5=ac265b1bc42e01dbe234216e9f6c78ee&idnot=49617

Falsa detrazione di assegno familiare? E’ truffa!

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L’imprenditore che porta in detrazione gli assegni familiari senza corrisponderli ai propri dipendenti è punibile per truffa e non per semplice evasione contributiva. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza 8537/2010, secondo la quale la fittizia esposizione di somme non corrisposte al lavoratore induce in errore l’istituto previdenziale sul diritto al conguaglio, realizzando, in tal modo, un ingiusto profitto, tipico del reato di truffa.
L’omissione e l’evasione contributiva
I c.d. contributi vengono definiti come “quote di retribuzione” o di “reddito di lavoro”, aventi una particolare destinazione assistenziale e/o previdenziale determinata dalla legge. Il versamento di detti contributi, da parte del datore di lavoro, è obbligatorio e la loro riscossione è affidata agli enti di previdenza i quali, solitamente, si occupano anche dell’erogazione delle prestazioni nonché del controllo sulla corretta applicazione della legge.
Come accennato, i contributi possono essere di due tipologie: a) contributi assistenziali; b) contributi previdenziali. I primi sono costituiti dai versamenti effettuati all’Inps o all’Inail per ottenere la copertura di rischi collegati all’espletamento dell’attività lavorativa, mentre i secondi sono costituiti da versamenti periodici di denaro effettuati, nei confronti dell’ente previdenziale, da parte del datore di lavoro, allo scopo di ottenere la prestazione pensionistica.
Sebbene l’onere contributivo veda, quali protagonisti attivi, sia il lavoratore che il datore di lavoro, l’obbligo di versamento dei contributi grava esclusivamente in capo a quest’ultimo. A tal proposito, l’art. 37, primo comma, della legge 689/1981, a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 23 dicembre 2000, n. 388, dispone che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, il datore di lavoro che, al fine di non versare in tutto o in parte contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie, ometta una o più registrazioni o denunce obbligatorie, ovvero esegua una o più denunce obbligatorie in tutto o, in, parte, non conformi al vero, sia punito con la reclusione fino a due anni, se dal fatto derivi l’omesso versamento di contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie, per un importo mensile non inferiore al maggiore importo fra cinque milioni mensili e il cinquanta per cento dei contributi complessivamente dovuti.
E’ possibile distinguere due diverse tipologie di condotte punibili. Da un lato abbiamo la c.d. omissione contributiva, che si verifica allorquando vi sia un mero ritardo nel pagamento dei contributi di cui sopra, documentabile dalle registrazioni obbligatorie denunciate dal datore di lavoro e, dall’altro, l’evasione contributiva, la quale si configura quando il datore di lavoro occulti o ometta di effettuare le registrazioni o le denunce contributive.
La struttura del delitto di truffa, ex art. 640 c.p.
Nell’esaminare, sommariamente, la struttura del fatto tipico del delitto di truffa, la condotta incriminata dall’art. 640 c.p. consiste, in linea di prima approssimazione, in un’attività finalizzata alla persuasione, mediante inganno, che la legge tipizza mediante “artifizi o raggiri”, determinanti di un errore in capo alla vittima, a sua volta produttivo dell’ulteriore evento costituito dal danno patrimoniale, con ingiusto profitto per sé o per altri.
Gli artifizi vengono tradizionalmente individuati come una manipolazione della realtà esterna, provocata attraverso la simulazione di circostanze inesistenti o dissimulazione di circostanze esistenti, mentre il raggiro può essere definito come un’attività simulatrice, sorretta da argomentazioni atte a far scambiare il falso per il vero ([i]).
Gli artifici ed i raggiri devono generare un primo risultato, costituito dall’errore della vittima; con tale termine dobbiamo intendere la falsa o distorta rappresentazione di una situazione fattuale idonea ad incidere sulla formazione della volontà. Si ritiene che la truffa non si possa configurare nel caso di ignoranza pura, posto che l’induzione non è il fatto di lasciare il soggetto passivo nell’ignoranza, ma nel generare un falso convincimento ([ii]).
La condotta del soggetto agente, all’interno del delitto di truffa, è, fin dall’inizio, diretta a far sì che la vittima, in conseguenza dell’errore, si determini al compimento di un atto di disposizione patrimoniale, il quale rappresenta un componente essenziale, sebbene si tratti di un requisito tacito, della fattispecie di cui all’art. 640 c.p. Come evidenziato da accorta dottrina, l’atto di disposizione patrimoniale segna il passaggio da un fenomeno interno alla psiche del soggetto passivo ad un effetto esterno consistente nel trasferimento patrimoniale ([iii]). Il contenuto dell’atto patrimoniale, il quale può discendere sia da una condotta attiva che omissiva, può essere di più diversa natura: può consistere non solo in un negozio giuridico in senso stretto, potendo configurarsi anche in una mera consegna di beni mobili o immobili, nel consenso all’uso, nell’esecuzione di obbligazioni o nell’accettazione di oneri o di pesi ([iv]).
L’atto di disposizione patrimoniale deve avere quale conseguenza la produzione di un danno in capo alla vittima. Con tale termine si intende, pacificamente, far riferimento al c.d. danno patrimoniale, ovvero quello consistente in una deminutio patrimonii. La dottrina è concorde nel ritenere che, all’interno del concetto di danno, possano essere ricomprese anche le cose aventi valore affettivo posto che, per il diritto penale, anche tali beni entrano a far parte del patrimonio dell’individuo ([v]).
Al danno per la vittima, infine, deve corrispondere un ingiusto profitto per il colpevole o per altri; Dobbiamo ritenere che il profitto di cui parla l’art. 640 c.p. non debba necessariamente essere di natura economica. Quello che è necessario è che il profitto sia “ingiusto”, ovvero non giustificato in alcun modo dall’ordinamento giuridico.
La soluzione accolta dalla Suprema Corte
Dopo aver precisato, per sommi capi, i requisiti strutturali del delitto di truffa, apparirà chiara la soluzione alla quale sono giunti i giudici della Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione. Attraverso la pronuncia in rassegna, il giudice nomofilattico ribadisce il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale il datore di lavoro che, per mezzo dell’artificio costituito dalla fittizia esposizione di somme come corrisposte al lavoratore, induce in errore l’istituto previdenziale sul diritto al conguaglio di dette somme, invero mai corrisposte, realizzando così un ingiusto profitto, risponde di truffa e non già una semplice evasione contributiva, di cui all’art. 37 della legge 689/1981 ([vi]).
Dall’esame della fattispecie appare evidente la ricorrenza di tutti i requisiti essenziali del delitto di truffa; in primis l’attività ingannatoria del datore di lavoro il quale, esponendo in maniera fittizia le somme corrisposte al lavoratore, pone in essere una condotta idonea a trarre in inganno l’istituto previdenziale. Tale attività è sicuramente produttiva di un atto di disposizione patrimoniale, avente contenuto negativo, produttivo, a sua volta, di un ingiusto profitto per l’imprenditore con conseguente danno per l’amministrazione e per il lavoratore, quantificabile nella somma di denaro non corrisposta dal primo.
(Altalex, 18 marzo 2010. Nota di Simone Marani)
Fonte: http://www.altalex.com/index.php?idu=143290&cmd5=ac265b1bc42e01dbe234216e9f6c78ee&idnot=49565

Il controllo giudiziario ex art. 2409 c.c. non si applica alla s.r.l.

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Il controllo giudiziario ex art. 2409 c.c. non può essere sollecitato per le società a responsabilità limitata dotate (sia facoltativamente che necessariamente) del collegio dei sindaci.
E’ quanto chiarito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 403 depoistata il 13 gennaio scorso.
Anteriormente alla riforma attuata con il d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 la disciplina del controllo giudiziario era inserita nel Capo V del Titolo V del Libro V del codice civile, all’art. 2409 c.c., ossia fra le disposizioni dettate con specifico riferimento alla società per azioni. Nonostante ciò, l’ambito di applicazione della denuncia al tribunale era più esteso. Il controllo giudiziario sulle irregolarità di gestione operava per tutte le società di capitali. Infatti, la dottrina[1] concordava sull’esperibilità del procedimento di controllo giudiziario a fronte delle irregolarità gestionali poste in essere dagli amministratori di società a responsabilità limitata, in considerazione dell’esplicito richiamo operato dal 4° comma del previgente art. 2488 c.c.: “anche quando manca il collegio sindacale, si applica l’art. 2409 c.c.”. Peraltro, nelle società a responsabilità limitata non dotate di collegio sindacale, ciascuno dei soci aveva il diritto di ottenere dagli amministratori della società informazioni sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare i libri sociali, ai sensi del vecchio testo dell’art. 2489 c.c.. Così, ogni socio disponeva della facoltà di esercitare un autonomo potere di controllo sulla gestione, peraltro meno incisivo di quello messo in opera dal collegio dei sindaci. Tuttavia, anche nel caso in cui mancasse il collegio dei sindaci, una minoranza qualificata di soci aveva la facoltà di promuovere il controllo giudiziario sull’amministrazione della società a responsabilità limitata, ai sensi del previgente art. 2409 c.c..
Il campo di applicazione dell’istituto del controllo giudiziario è mutato con l’entrata in vigore della riforma organica della disciplina delle società di capitali e cooperative, attuata con il decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6. L’art. 2409 c.c. è ancora collocato nel Capo V del Titolo V del Libro V del codice civile e, naturalmente, il controllo giudiziario si applica alla società per azioni. Peraltro, il sindacato giudiziario sulla gestione continua ad operare anche nell’ambito della società in accomandita per azioni. Tanto è vero che l’odierno art. 2454 c.c. riproduce il testo del previgente art. 2464 c.c., estendendo così il controllo giudiziario, disciplinato dal nuovo art. 2409 c.c., alla società in accomandita per azioni.
Diversamente, nessuna delle norme del novellato codice civile prevede espressamente l’applicabilità del procedimento di controllo giudiziario alla società a responsabilità limitata, prima indiscussa grazie all’esplicito rinvio operato dall’ultimo comma del vecchio testo dell’art. 2488 c.c.[2].
Secondo quanto si ricava dai lavori preparatori alla riforma del diritto delle società[3], il legislatore della novella ha consapevolmente escluso la società a responsabilità limitata dal novero degli enti privati assoggettabili al sindacato giudiziario sulle irregolarità gestionali, così come disciplinato dall’attuale testo dell’art. 2409 c.c..
La restrizione del campo operativo del controllo giudiziario è stata introdotta nel nuovo diritto societario in ragione del fatto che a ciascun socio è stato ora conferito il potere di esperire l’azione sociale di responsabilità e di chiedere la revoca cautelare degli amministratori in caso di gravi irregolarità ai sensi del 3° comma del nuovo art. 2476 c.c..
È questa un’innovazione di fondamentale rilevo, dato che, prima della riforma, solo l’assemblea dei soci poteva deliberare l’azione di responsabilità o la revoca degli amministratori e solo i soci di minoranza, che rappresentassero almeno il decimo del capitale sociale, potevano attivare lo strumento della denuncia al tribunale.
Inoltre, a tutti i soci sono stati attribuiti penetranti poteri ispettivi nella gestione sociale.
Il 2° comma del nuovo testo dell’art. 2476 c.c. prevede infatti che “i soci che non partecipano all’amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all’amministrazione”. Si tratta di un potere di controllo più ampio di quello previsto dal vecchio testo dell’art. 2489 c.c. nell’ipotesi in cui mancasse il collegio dei sindaci. E ciò non solo in ragione del fatto che questi diritti spettano ora ai soci di tutte le società a responsabilità limitata, incluse quelle dotate di collegio sindacale[4].
Infatti, l’attuale ordinamento giuridico attribuisce a ciascun socio il diritto di consultare i libri sociali direttamente ma anche a mezzo di professionisti di fiducia appositamente nominati. D’altro canto, tale facoltà riguarda in generale i documenti relativi all’amministrazione[5]. Tanto che il diritto di ispezione concerne sia l’andamento generale della gestione che le singole operazioni, ossia tutto quanto attiene alla gestione della società.
Ciò è quanto emerge dal n. 11, Della società a responsabilità limitata, della Relazione governativa[6] al d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6: “ad ogni socio è riconosciuto il diritto di ottenere notizie dagli amministratori in merito allo svolgimento degli affari sociali e di procedere ad una diretta ispezione dei libri sociali e dei documenti concernenti l’amministrazione della società. Da questa soluzione consegue coerentemente il potere di promuovere l’azione sociale di responsabilità e di chiedere con essa la provvisoria revoca giudiziale dell’amministratore in caso di gravi irregolarità (…); [dunque] è sembrato logico che sulla base di questa soluzione divenisse sostanzialmente superflua ed in buona parte contraddittoria con il sistema la previsione di forme di intervento del giudice quali quelle ora previste dall’art. 2409 c.c. Esse infatti sono sostanzialmente assorbite dalla legittimazione alla proposizione dell’azione sociale di responsabilità da parte di ogni socio e dalla possibilità di ottenere in quella sede provvedimenti cautelari come la revoca degli amministratori”.
In buona sostanza, l’obiettivo del legislatore è stato quello di privatizzare il controllo sulla società a responsabilità limitata a favore di ciascun socio con l’eliminazione di intrusioni esterne e, in particolare, con l’elisione di qualsiasi ingerenza o controllo di stampo giudiziario[7].
Invero, la citata Relazione governativa chiarisce che “si tratta di una disciplina che corrisponde alla prospettiva secondo cui viene accentuato il significato contrattuale dei rapporti sociali, [e quindi si è voluto] fornire ai soci uno strumento in grado di consentire ad essi di risolvere i conflitti interni alla società”.
È fuor di dubbio, dunque, che l’intento del legislatore è stato quello di escludere la possibilità di estendere il sindacato giudiziario alla società a responsabilità limitata: un ulteriore riscontro vi è nel novellato art. 92, 1° comma, disp. att. c.c. La norma prevede infatti che il decreto con cui il tribunale adito nomina l’amministratore giudiziario, ai sensi del 4° comma dell’attuale art. 2409 c.c., priva l’imprenditore dell’amministrazione della società, e puntualizza che esso si riferisce alle “società di cui ai capi V e VI del titolo V del libro V del codice” civile, cioè alla società per azioni ed alla società in accomandita per azioni.
Tuttavia, sulla base di queste considerazioni e nonostante l’espressa intenzione del legislatore, parte della dottrina[8] ritiene che il sindacato giudiziario sulle irregolarità amministrative trovi ancora applicazione nelle società a responsabilità limitata di maggiori dimensioni, ossia laddove la nomina del collegio sindacale sia obbligatoria (si tratta dell’ipotesi in cui il capitale sociale della società a responsabilità limitata non sia inferiore a quello minimo stabilito per la società per azioni, ovvero del caso in cui per due esercizi consecutivi siano stati superati due dei limiti previsti dal primo comma dell’art. 2435-bis c.c.). Questa parte della dottrina fonda le proprie argomentazioni sul rinvio operato dal 4° comma dell’art. 2477 c.c. Tale norma prevede infatti che quando l’elezione del collegio sindacale è necessaria, ai sensi del 2° e del 3° comma dell’art. 2477 c.c., “si applicano le disposizioni in tema di società per azioni”. Invero, l’organo di controllo della società per azioni è disciplinato dagli artt. 2397 e segg. c.c., fra i quali è inserito il nuovo art. 2409 c.c..
Tuttavia, in proposito, deve sottolinearsi che il legislatore della novella del 2003 ha innovato profondamente la disciplina della società a responsabilità limitata, prevedendo un insieme autonomo ed organico di norme, nel quale i rinvii alla disciplina della società per azioni non costituiscono più la regola, ma l’eccezione[9]. Di conseguenza, il rinvio alle norme che disciplinano il collegio sindacale della società per azioni, ossia agli artt. 2397 e segg. c.c., non opera per l’art. 2409 c.c., perché non più compatibile con l’attuale modello della società a responsabilità limitata, ispirata ad un controllo tutto privatistico. Al riguardo, il d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, ha infatti sostituito al sindacato giudiziario il potere di chiedere la revoca degli amministratori, in caso di gravi irregolarità e in sede di azione di responsabilità, attribuito a ciascun socio (si veda il 3° comma del nuovo testo dell’art. 2476 c.c.).
La Corte di Cassazione ha infatti statuito che un’interpretazione estensiva dell’art. 2409 c.c. alle s.r.l. dotate necessariamente del collegio dei sindaci non appare condivisibile per diversi motivi, e segnatamente: – per la genericità del richiamo contenuto nell’art. 2477 c.c. alle disposizioni dettate in tema di società per azioni; – per l’espressa e specifica indicazione dettata dal legislatore in senso contrario; – per le analitiche argomentazioni svolte a sostegno dell’opzione effettuata nella relazione al testo normativo; – per il contrasto che si verrebbe a determinare fra un eventuale potere riconosciuto al collegio sindacale di sollecitare l’intervento dell’autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 2409 c.c. e la collocazione attribuita alla società a responsabilità limitata, non più delineata come una società per azioni di più modeste dimensioni, nell’ambito del sistema societario nel suo complesso.
In proposito va invero considerato che il giudizio di superfluità e contraddittorietà del ricorso al procedimento all’art. 2409 nelle società a responsabilità limitata è ancorato al palese intento di privatizzare il controllo societario in favore dei singoli soci.
Ciò trova riscontro: – nel diritto dei soci di ottenere notizie dagli amministratori circa l’andamento degli affari sociali, – nel loro diritto di procedere all’ispezione dei libri sociali e dei documenti, – nella riconosciuta legittimazione a proporre l’azione sociale di responsabilità, – nella possibilità di ottenere in tale sede provvedimenti cautelari, – nella predisposizione di un sistema idoneo a risolvere i conflitti societari interni, – nell’attribuzione al collegio sindacale di compiti di controllo incentrati più sui profili contabili (artt. 2476, 2477 c.c.), anziché su quelli di corretta gestione e di legalità, rispetto ai quali deve essere invece concentrata l’attenzione del collegio sindacale delle società per azioni.
Oltremodo, il legislatore ha successivamente disposto all’art. 8 del d.lgs. 37/2004, modificativo del decreto attuativo della riforma societaria, che alle società sportive di cui all’art. 10, l. 23.3.1981, n. 91 si applica l’art. 2409 c.c., pur se aventi forme di società a responsabilità limitata, disposizione che trova fondamento e presupposto nel convincimento che, diversamente, l’articolo in questione non sarebbe stato applicabile alle società sportive a responsabilità limitata.
Il rinvio alle disposizioni in tema di società per azioni dettato dall’art. 2477, ult. comma, c.c. in tema di società a responsabilità limitata, va quindi interpretato come richiamo ai requisiti professionali, alle cause di ineleggibilità, decadenza ed incompatibilità dei sindaci stabilite dagli artt. 2397 e segg. c.c., nonché alle rispettive funzioni e ai poteri indicati dagli artt. 2403 e segg. c.c., ma non può certamente valere ad assegnare loro il potere di sollecitare il controllo giudiziario in relazione a ravvisate irregolarità gestionali, a ciò ostando non solo la formulazione letterale delle disposizioni vigenti e l’intenzione del legislatore, ma anche i diversi connotati attribuiti alle società a responsabilità limitata rispetto a quelle per azioni, con la riforma organica delle società di capitali di cui al d.lgs. n. 6/2003.
(Altalex, 15 marzo 2010. Nota di Aurelio Schiavone)
Fonte: http://www.altalex.com/index.php?idu=143290&cmd5=ac265b1bc42e01dbe234216e9f6c78ee&idnot=49597

Codice della proprietà industriale: il regolamento di attuazione

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Semplificare le procedure nell’interesse delle imprese al fine di una maggiore tutela della proprietà industriale.
E’ questo l’obiettivo del Regolamento di attuazione del Codice della proprietà industriale varato dal Ministero dello Sviluppo Economico con il decreto 13 gennaio 2010, n. 33.
Previste procedure agevolate nell’ottenimento e nella gestione dei titoli della proprietà industriale, nel rispetto della normativa comunitaria ed internazionale. Recepite altresì, le esigenze di disciplina del deposito delle domande, delle istanze, delle modalità di applicazione delle norme sul procedimento di opposizione, nonché dell’attività svolta dai consulenti in proprietà industriale.
Tra le novità introdotte anche quelle che semplificano le modalità riguardo le domande di brevettazione nazionale, europea ed internazionale e ai marchi. In dettaglio:
domanda di brevetto europeo: la domanda viene depositata direttamente o tramite un servizio postale, che ne attesta la ricezione, presso la Camera di commercio, industria, artigianato ed agricoltura di Roma, delegata alla trasmissione della documentazione all’Ufficio italiano brevetti e marchi. Il deposito potrà essere effettuato anche per via telematica, nel rispetto del decreto legislativo del 7 marzo 2005, n. 82 “Codice della digitalizzazione della pubblica amministrazione”;
domanda internazionale per invenzione industriale: le domande internazionali sono depositate presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi direttamente o tramite un servizio postale che ne attesti la ricezione, ne dati il deposito ed il numero internazionale in ottemperanza del Trattato di cooperazione in materia di brevetti e dal regolamento relativo regolamento di attuazione. Il deposito della domanda internazionale può essere effettuato anche in via telematica secondo le modalità previste con decreto del Direttore generale per la lotta alla contraffazione – Ufficio italiano brevetti e marchi;
trasformazione del brevetto europeo: l’Ufficio italiano brevetti e marchi, ricevuta la richiesta di trasformazione, invita l’interessato, entro un termine non inferiore a due mesi, a pagare i diritti previsti per la domanda di brevetto nazionale, ad integrare i dati mancanti per l’esame secondo la procedura nazionale nonché a produrre, la lettera d’incarico se vi sia mandatario ovvero la dichiarazione di elezione di domicilio in Italia e traduzione del testo originario della domanda in lingua italiana,
domanda di registrazione di marchio: deve contenere: le generalità complete della persona fisica o la denominazione, la sede e la nazionalità della persona giuridica o dell’ente richiedente, se risiede all’estero deve eleggere il suo domicilio in Italia. Indicare il tipo di marchio, se si tratti di marchio verbale, figurativo, tridimensionali o sonoro. L’indicazione del colore o dei colori, compresi il bianco ed il nero, quando tali colori costituiscono caratteristica del marchio stesso. L’indicazione del codice internazionale dei colori, l’indicazione che si tratta di registrazione di un marchio collettivo, la traduzione in lingua italiana del marchio se esso comprende parole di senso compiuto espresse in altre lingue. Un esemplare della riproduzione del marchio.
(Altalex, 17 marzo 2010. Nota di Cesira Cruciani)
Fonte: http://www.altalex.com/index.php?idu=143290&cmd5=ac265b1bc42e01dbe234216e9f6c78ee&idnot=49590

Visita fiscale: il lavoratore è assente giustificato se la mamma sta male

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Deroga alla reperibilità per motivi necessari: il lavoratore va a trovare la mamma ammalata? Non perde il diritto all’indennità.
Vi sono, infatti, esigenze di solidarietà e vicinanza familiare che possono legittimare la non reperibilità fiscale.
E’ quanto hanno precisato i giudici della Corte di Cassazione nella sentenza 9 marzo 2010, n. 5718 secondo cui il fatto che un lavoratore si assenti alla visita di controllo durante le fasce orarie di reperibilità (per andar a far visita alla madre malata) non integra una ipotesi di giustificato motivo, che, quindi, legittima l’assenza dello stesso.
Si specifica, inoltre, che l’assenza dalla visita di controllo per non essere sanzionata dalla perdita del conseguente trattamento economico di malattia, può essere giustificata (oltre che dal caso di forza maggiore) anche “da ogni situazione la quale, ancorché non insuperabile e nemmeno tale da determinare, ove non osservata, la lesione di beni primari, abbia reso indifferibile altrove la presenza personale dell’assicurato, secondo un accertamento riservato al giudice del merito”.
La vicenda
Con la sentenza n. 5718/2010 la Cassazione ha confermato quanto già affermato dalla Corte d’Appello che aveva dato ragione ad un prestatore di lavoro al quale l’INPS aveva rifiutato il riconoscimento della indennità di malattia, “poiché non era stato possibile reperirlo per la visita fiscale, durante la fascia oraria prevista”.
La giustificazione addotta dal lavoratore (ossia “non essere presente alla visita fiscale in quanto si era recato dalla mamma malata”) non aveva convinto i giudici del Tribunale di Firenze che non avevano, infatti, riconosciuto l’indennità di malattia, sostenendo che “le assenze alle visite fiscali, per essere perdonate, devono essere dovute a problemi indifferibili, mentre non meritano considerazione le assenze fatte in nome di una utilità, anche morale”.
Il ricorrente aveva basato la propria difesa, infatti, sul fatto che aveva ritardato il rientro a causa del traffico dopo che si era recato (esibendo la necessaria documentazione) a trovare la madre gravemente malata (ricoverata in un centro specialistico) e reduce da un intervento chirurgico.
I giudici di appello avevano ritenuto legittima tale giustificazione.
L’INPS ricorre in Cassazione.
La questione si spostava, quindi, in Cassazione, per cui la decisione dei “precedenti colleghi” era da ritenersi valida ribadendo, altresì, nella sentenza in oggetto come la situazione portata a base dal lavoratore potesse configurarsi come “un’esigenza di solidarietà e vicinanza familiare, senz’altro meritevole di tutela nell’ambito dei rapporti etico sociali garantiti e tutelati dalla Costituzione”.
Quindi, la legittimità dell’assenza deriva dalla primaria esigenza di solidarietà.

(Altalex, 19 marzo 2010. Nota di Manuela Rinaldi)
Fonte: http://www.altalex.com/index.php?idu=143290&cmd5=ac265b1bc42e01dbe234216e9f6c78ee&idnot=49607

Estratto conto online Equitalia, come funziona

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Da qualche tempo, su tutto il territorio nazionale, Equitalia ha attivato il servizio dell’estratto conto online che permette al cittadino di monitorare, rilevare e consultare la propria posizione tributaria senza bisogno di doversi recare presso lo sportello fisico dell’Agente per la riscossione. Ma come si accede a questo servizio? Ebbene, per poter accedere comodamente da casa al proprio check up fiscale ci sono più soluzioni e sono le seguenti: si può accedere con le credenziali del cassetto fiscale dell’Agenzia delle Entrate, con quelle dell’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale (Inps), oppure in ultimo, per chi la possiede, con la Carta nazionale dei servizi.

L’Estratto conto online Equitalia permette di consultare la propria posizione debitoria dall’anno 2000 e fino ad oggi inserendo le credenziali sopra indicate dal sito del proprio Agente per la riscossione o accedendo direttamente al sito Internet di Equitalia, www.equitaliaspa.it.

Per ottenere le credenziali dell’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale, avendone i requisiti per farlo, basta andare sul Portale dell’Inps, accedere alla sezione “Servizi online – Richiesta pin online” e seguire la procedura, mentre per acquisire le credenziali del “Cassetto fiscale” occorre collegarsi al sito Internet dell’Agenzia delle Entrate, www.agenziaentrate.gov.it. Per saperne di più sulla Carta nazionale dei servizi occorre invece collegarsi al sito Internet www.progettocns.it.

Equitalia, intanto, ha reso noto che l’introduzione su tutto il territorio nazionale del servizio dell’estratto conto online ha ulteriormente migliorato il rapporto tra il fisco ed il contribuente; basti pensare che dal 7 luglio scorso ad oggi sono stati ben 600 mila i cittadini che hanno controllato la propria posizione debitoria su Internet piuttosto che recarsi allo sportello così come obbligatoriamente doveva avvenire sempre in passato.

Fonte: http://www.vostrisoldi.it/articolo/estratto-conto-online-equitalia-come-funziona/26337/

Bonus bebè: i lettori lo rimpiangono

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Sono tanti, parecchie decine ogni giorno, i lettori di VostriSoldi.it che ci chiedono se esiste ancora o se sarà istituito a breve il “bonus bebé”, ovverosia quella misura che negli anni scorsi, a favore dei nuovi nati, permetteva ai genitori di incassare un assegno una tantum da mille euro, direttamente presso l’ufficio postale. Ebbene, su scala nazionale il bonus bebé è e rimane non pervenuto, ma a livello locale i Comuni e le Regioni possono comunque mettere a punto misure che non sono proprio identiche al “bonus bebé“, ma riguardano in ogni caso il sostegno alla natalità.

Ad esempio, a Roma per le neomamme è attiva la Carta Bimbo, così come nel Friuli Venezia Giulia ci sono gli assegni per la natalità destinati alla famiglie sia per le nuove nascite, sia per le adozioni. Su scala nazionale, invece, per quest’anno, e probabilmente anche per il prossimo e quello successivo, l’unica misura che assomiglia al bonus bebé, ma non più di tanto, è quella relativa al “Fondo nuovi nati”.

Se con il bonus bebè era possibile ottenere sostegno economico per la nascita del figlio, con il “Fondo nuovi nati” non vengono invece erogati contributi una tantum, ma viene offerto un prestito agevolato con sconto sul tasso del 50% rispetto alla media dei tassi praticati sui finanziamenti personali.

C’è anche un sito a sostegno dell’iniziativa, www.fondonuovinati.it, dove è possibile consultare la lista delle banche che aderiscono al “prestito bebé” stipulabile dalla famiglie con nuovi nati o con figli adottati per importi fino a massimi 5.000 euro. Nessun requisito di reddito deve essere rispettato per accedere ad una misura che, entro il prossimo 30 giugno 2010, è valida per quelle famiglie dove l’anno scorso, quindi nel 2009, ci sono state nuove nascite o adozioni.

All’atto della stipula del prestito non vengono richieste dalla banca specifiche finalità per l’erogazione del credito, mentre per quanto riguarda il piano di ammortamento il capitale può essere restituito fino ad un massimo di 60 rate mensili, ovverosia cinque anni.

Fonte: http://www.vostrisoldi.it/articolo/bonus-bebe-i-lettori-lo-rimpiangono/26343/

Bando per il sostegno ai processi di brevettazione delle micro, piccole e medie imprese

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Sono ammesse a presentare la domanda di agevolazione le micro, piccole e medie imprese ed i centri di ricerca privati, purché costituiti in forma di micro, piccola o media impresa, con sede operativa attiva in Lombardia.
Sono considerate ammissibili tutte le spese sostenute nelle procedure relative alla domanda di brevetto italiano, europeo e/o di altri brevetti internazionali. In particolare:
– costi diretti sostenuti nei confronti dell’UIBM, dell’EPO o degli analoghi uffici di Paesi non aderenti alla Convenzione sul Brevetto Europeo;
– consulenze da parte di studi professionali o professionisti del settore solo se prettamente inerenti la procedura relativa alla domanda di brevetto italiano, europeo e/o internazionale;
– costi di traduzione per la nazionalizzazione del brevetto europeo e/o internazionale concesso in uno o più Paesi aderenti o meno alla Convenzione sul Brevetto Europeo;
– costi del personale interno dedicato alla gestione dell’iter brevettuale, nella misura massima del 20% del totale delle spese ammissibili.
Sono comunque escluse le spese relative al mantenimento del brevetto.
La dotazione complessiva prevista dal bando è di tre milioni di Euro. Il contributo, concesso nella misura del 50% delle spese totali ammissibili, verrà erogato tenendo conto dei seguenti massimali:
– 2.500 Euro nel caso di richiesta di un brevetto italiano;
– 5.000 Euro nel caso di richiesta di due o più brevetti italiani;
– 8.000 Euro nel caso di richiesta di un brevetto europeo e/o internazionale;
– 16.000 Euro nel caso di richiesta di due o più brevetti europei e/o internazionali.
Ogni beneficiario può presentare una sola domanda e non è possibile cumulare i contributi per l’ottenimento di brevetti italiani e di brevetti europei e/o internazionali.
Le richieste di contributo, relative a spese non anteriori al 1° gennaio 2010, potranno essere presentate online a partire dal 10 marzo 2010 fino ad esaurimento delle risorse e comunque non oltre il 31 dicembre 2010.
Fonte: http://www.riditt.it:8087/riditt2/temi/programmi-incentivi/regione-lombardia.-bando-per-il-sostegno-ai-processi-di-brevettazione-delle-micro-piccole-e-medie-imprese