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Indagini bancarie buone per il fisco 
anche se c’è segreto istruttorio

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La mancanza dell’autorizzazione non invalida l’accertamento basato sui dati raccolti dalla Guardia di finanza
È valido l’accertamento fiscale basato sulle indagini effettuate sui conti bancari, anche se il procedimento penale a carico del contribuente è coperto da segreto istruttorio. Lo ha stabilito la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 4741 del 26 febbraio, ha respinto il ricorso di un mobilificio che aveva ricevuto un avviso di rettifica in materia di Iva conseguente ad attività istruttoria condotta sui conti bancari di un socio non amministratore della società.

La vicenda processuale
A discapito della prima decisione di merito favorevole al contribuente, la Commissione tributaria regionale ha confermato la validità di un atto impositivo rettificativo del volume di affari Iva di una società di persone, emesso a seguito di accertamenti della Guardia di finanza sui conti correnti bancari di pertinenza.
In particolare, i punti di dissertazione venuti a galla nella vicenda, e diversamente risolti nei tre gradi del giudizio, sostanzialmente riguardano:
• il preteso utilizzo illegittimo ai fini fiscali della documentazione bancaria acquisita nel corso di attività di polizia giudiziaria, per mancanza dell’autorizzazione preventiva del procuratore della Repubblica al rilascio delle copie della documentazione per effetto del segreto istruttorio che copre l’attività processuale penale
• l’illegittimo utilizzo della conoscenza della prova testimoniale, che avrebbe comportato violazione del diritto di difesa del contribuente.

La Commissione regionale ha accolto il gravame dell’ufficio, esternando le seguenti osservazioni.
Diversamente dal “travisamento” dei fatti risultante dalla precedente fase del giudizio, il secondo giudice afferma che non si è in presenza di un utilizzo di elementi acquisiti in sede penale e poi trasfusi nell’accertamento fiscale, bensì di una normale indagine svolta in sede amministrativa, le cui risultanze sono state anche trasmesse alla procura della Repubblica essendo emersi indizi di reato, il che significa che non occorreva alcuna autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria, come invece preteso dalla ricorrente. Infatti, nel corso delle indagini condotte dalla polizia tributaria erano emersi una pluralità di elementi gravi, precisi e concordanti in merito a una “intensa” illecita attività finalizzata alla commissione di reati, con rilevanza sia penale in senso stretto sia penaltributaria (Dlgs 74/2000), ponendo in essere attività dolosa tendente artificiosamente a perpetrare rilevante evasione fiscale. Da tali indagini erano emersi riscontri di fatti gestionali posti in essere dalla società verificata che hanno disvelato condotte omissive e simulatorie atte a fare apparire, attraverso un’ingegnosa architettura di apparente regolarità fiscale, una situazione patrimoniale e reddituale del tutto diversa da quella reale.

Le risultanze delle indagini effettuate hanno avuto origine dalla procedura di controllo dei conti correnti bancari eseguiti presso un soggetto legittimato perché legato alla società da un rapporto qualificato, socio non amministratore (Cassazione 1452/2009, 27032/2007, 18421/2005), e sono state condotte in istruttoria con dovizia di riscontri e contestazioni rinvenibili nella redazione, dopo l’esecuzione di controlli incrociati, di un apposito prospetto delle schede clienti, allegato allo stesso processo verbale di constatazione, regolarmente notificato alla verificata a conclusione dei controlli.

Le acquisizioni testimoniali raccolte in sede investigativa non hanno conflitto con alcuna disposizione normativa costituzionale o di legge ordinaria (tanto meno con l’articolo 7 del Dlgs 546/1992, che, comunque, è posto a presidio dell’attività processuale non di quella amministrativa), posto che le stesse sono state raffrontate in quella sede dalla Guardia di finanza con le scritture contabili e la documentazione acquisita al fascicolo. Al riguardo, costituisce infatti principio consolidato quello secondo cui il divieto di ammissione della prova testimoniale nel giudizio davanti alle Commissioni tributarie si riferisce alla prova testimoniale da assumere nel processo e non implica l’inutilizzabilità, ai fini della decisione, delle dichiarazioni raccolte dall’amministrazione procedente e rese da “terzi”, e cioè da soggetti estranei rispetto al rapporto tra il contribuente-parte e l’erario; tali informazioni testimoniali hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari, e devono pertanto essere necessariamente supportate da riscontri oggettivi (Cassazione 903/2002, 8683/2002, 4423/2003, 21271/2008).

Cosicché l’ispezione condotta dai verificatori sulla contabilità della ricorrente fuga qualsiasi preteso vizio di legittimità circa l’utilizzazione ai fini fiscali delle dichiarazioni rese da terzi. Per conseguenza, dall’acquisizione e valutazione di convincenti elementi di riscontro derivante dall’esame della documentazione contabile ed extracontabile, quindi diversi dalle testimonianze, ne è derivata una inevitabile ricostruzione indiretta dei ricavi occulti presuntivamente conseguiti dalla società mediante vendite non documentate. In fattispecie similari, difatti, l’ufficio accertatore può fondare la rettifica dei maggiori ricavi, rispetto a quelli dichiarati, su “gravi incongruenze”, anche se poste al di fuori delle ipotesi espressamente previste dall’articolo 39, comma 1, lettera d), Dpr 600/1973, ossia su presunzioni “supersemplici”, non dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza (articolo 2729 cc) (Cassazione 2876/2009, 16379/2008, 24532/2007, 26919/2006).

L’amministrazione finanziaria, quindi, nel rettificare i ricavi aziendali occultamente conseguiti, si è avvalsa legittimamente delle risultanze bancarie accertate presso terzi dalla Guardia di finanza (Cassazione 10148/2000, 15234/2001), in ciò abilitata dalle specifiche disposizioni normative contenute negli articoli 32, comma 1, n. 2), Dpr 600/1973, e 51, comma 2, n. 2), Dpr 633/1972 (normativa che riguarda specificamente lo sviluppo in campo fiscale degli accertamenti bancari eseguiti nell’ambito dei poteri di polizia giudiziaria).

Inoltre, è convincimento della Commissione del riesame (affermazione che segna il passaggio motivazionale essenziale della decisione) che, quand’anche l’asserzione del contribuente avesse fondamento, nell’attuale sistema del giudizio tributario non è rinvenibile una disposizione simile a quella posta nel giudizio penale dall’articolo 191 cpp, che sancisce espressamente il divieto di utilizzare prove acquisite in modo illecito o illegittimo quando queste risultano oggettivamente attendibili, come ben evidenziato dalla Corte di cassazione nella sentenza 4987/2003, allorché afferma che, dal momento che l’autorizzazione prevista dall’articolo 51, comma 2, n. 7), del Dpr 633/1972, attiene ai rapporti interni degli uffici e in materia tributaria non vige il principio (presente nel codice di procedura penale) della inutilizzabilità della prova irritualmente acquisita, ben possono essere utilizzati ai fini dell’emissione di un avviso di accertamento (e nel successivo processo tributario) le copie dei conti bancari intrattenuti da una banca con il contribuente, acquisite dall’ufficio tributario presso l’istituto bancario in difetto della suddetta autorizzazione.

In altri termini, ove i dati e le notizie emersi in sede di attività di polizia giudiziaria fossero stati acquisiti senza il rispetto delle forme e dei modi previsti dalle norme in materia di accertamento (ad esempio, perquisizione effettuata senza l’autorizzazione del procuratore della Repubblica), non ne sarebbe in alcun modo preclusa l’utilizzazione, visto che si tratterebbe di vizi “coperti” dall’acquisizione in sede di indagini penali di dati successivamente pervenuti all’amministrazione finanziaria a seguito della trasmissione fatta dalla polizia giudiziaria, “copertura” che opererebbe indipendentemente dalla presenza o meno dell’autorizzazione alla trasmissione stessa (Cassazione 7791/2001, 3326/2009).

Decisione della Cassazione
Decidendo la vertenza, la Suprema corte respinge il ricorso della società e afferma il principio secondo cui il contribuente, laddove intenda far valere una incongruenza sulla valutazione dei fatti e delle circostanze operata dal giudice del merito, ha l’obbligo di indicare gli elementi e i conferenti punti della decisione e dell’atto impositivo impugnato a sostegno di tale assunto, non potendo risolversi la contestazione in un vizio squisitamente ermeneutico (nella specie, in relazione all’utilizzo di indagini finanziarie compiute in sede amministrativa o di polizia giudiziaria).

Uno dei punti contestati dal contribuente era il fatto che il procedimento penale a suo carico era coperto da segreto istruttorio, ma a tale obiezione la Corte di legittimità ha controbattuto affermando che, in realtà, il risultato utilizzato – come inequivocabilmente ha motivato il giudice del riesame – era quello basato su un’indagine amministrativa condotta dalla Guardia di finanza e, quindi, indipendentemente dal procedimento penale.

A tal fine, rafforzando un univoco indirizzo giurisprudenziale (Cassazione 3852/2001, 14058/2006, 22035/2006, 2450/2007), la Corte di legittimità ha argomentato che, in tema di accertamento, la necessità dell’autorizzazione dell’autorità giudiziaria per la trasmissione di atti, documenti e notizie acquisite nell’ambito di un’indagine o un processo penale, disposta dall’articolo 63, comma 1, del Dpr 633/1972, il cui contenuto è stato riprodotto nell’articolo 33, comma 3, del Dpr 600/1973, è prevista a salvaguardia del segreto delle indagini penali (ex articolo 329 cpp) e non ha alcuna finalità di tutela nei confronti del contribuente (in tale contesto, è stato perfino ammesso – Cassazione 22119/2007 – che la Guardia di finanza possa procedere all’acquisizione ai fini fiscali di documenti che si trovi a detenere a seguito del dissequestro disposto dal giudice penale, senza che occorra alcuna autorizzazione, in quanto con il provvedimento di dissequestro l’autorità penale ha mostrato di non ritenere i documenti in questione utili all’indagine e non ricorre l’ipotesi, costituzionalmente protetta, di accesso al domicilio privato).

Le considerazioni esposte derivano dalle riferite disposizioni che assegnano alla Guardia di finanza il ruolo di cooperazione con gli uffici fiscali per l’acquisizione e il reperimento degli elementi utili ai fini dell’accertamento tributario; organo investigativo che espleta analoga funzione di interesse pubblico allorché agisce anche in veste di polizia giudiziaria per il perseguimento dei reati fiscali. Nell’ambito di tale attività investigativa, le norme fiscali riconoscono così all’autorità giudiziaria penale il potere di derogare al segreto istruttorio, in vista dell’interesse a un sollecito e corretto accertamento tributario (Cassazione 22173/2008). Di conseguenza, l’eventuale trasmissione non autorizzata di atti coperti dal segreto istruttorio rileva solo nell’ambito del giudizio penale e – se può giustificare provvedimenti a carico del trasgressore – non inficia la valenza probatoria dei dati trasmessi, né implica l’invalidità dell’atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi (Cassazione 22555/2007, 28695/2005, 7208/2003). Ciò in quanto l’autorizzazione del procuratore della Repubblica è “rivolta alla tutela della segretezza delle indagini penali”, ma non comporta una limitazione o un condizionamento della capacità di difesa della parte privata (Cassazione 7208/2003, Corte costituzionale 51/1992).
Quanto sopra, diversamente dalle fattispecie previste per l’accesso ai fini fiscali dall’articolo 52, commi 2 e 3, del Dpr 633/1972 (trattasi degli accessi in locali diversi da quelli destinati dal contribuente all’esercizio dell’attività ovvero per procedere a perquisizioni personali o all’apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli, ecc.), per i quali non può prescindersi – pena l’invalidità delle operazioni effettuate – dalla prescritta autorizzazione del procuratore della Repubblica.

In tal modo, la Suprema corte ha confermato la sentenza di secondo grado sullo specifico punto.
Salvatore Servidio

Fonte: http://www.nuovofiscooggi.it/giurisprudenza/articolo/indagini-bancarie-buone-il-fisco-anche-se-ce-segreto-istruttorio

Fondo conti dormienti, 600 milioni
per rimborsare le vittime dei crack

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Il dato è stato fornito oggi in una risposta del Tesoro a una interrogazione in commissione Finanze alla Camera
L’importo complessivo delle somme che sono affluite nel Fondo conti dormienti ammonta a circa un miliardo di euro, di cui 400 milioni già utilizzati per finanziare un nuovo Fondo destinato a sostenere interventi urgenti e indifferibili. La consistenza residuale, disponibile sulla contabilità speciale conti dormienti, ammonta a 600 milioni di euro che saranno utilizzati per far fronte alle richieste di rimborso. Una volta che tali richieste risulteranno soddisfatte, la rimanenza potrà essere impiegata secondo le finalità prevista dall’articolo 1, comma 354-novies, della legge 266/2005 (Finanziaria 2006).
La dichiarazione, resa oggi dal Tesoro, prende le mosse da una interrogazione parlamentare presentata in commissione Finanze alla Camera.

L’idea del Fondo risale alla Finanziaria 2006 che, all’articolo 1, commi 343 e 345, ne prevedeva l’istituzione con l’obiettivo di indennizzare tutti quei risparmiatori che, investendo sul mercato finanziario, erano rimasti vittime di frodi finanziarie e avevano subito un danno ingiusto non risarcito. L’alimentazione del Fondo sarebbe stata assicurata dall’importo dei conti correnti e dei rapporti bancari definiti come “dormienti” all’interno del sistema bancario nonché del settore assicurativo e finanziario.

Con successivo Dpr 116/2007, che dava attuazione alla norma contenuta nella Finanziaria, si stabiliva che l’assenza di attività da parte del titolare del rapporto protrattasi per un periodo di 10 anni costituiva presupposto affinché i rapporti bancari, con saldo superiore a un determinato ammontare, potessero essere considerati dormienti, con conseguente devoluzione delle somme e dei valori relativi al Fondo.

L’articolo 1, comma 345-novies, ha poi demandato a un decreto del presidente del Consiglio dei ministri la definizione di presupposti e procedure per ottenere gli indennizzi destinati alle vittime di frodi finanziarie e ai danneggiati dai bond argentini, definendo anche i limiti e le priorità di assegnazione.
r.fo.

Fonte: http://www.nuovofiscooggi.it/attualita/articolo/fondo-conti-dormienti-600-milioni-rimborsare-le-vittime-dei-crack

Iva agevolata in edilizia: 
breve excursus fra norme e prassi

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La Finanziaria 2010 ha stabilizzato l’aliquota ridotta per i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria
Per poter compiutamente esporre le condizioni che regolano l’applicabilità dell’aliquota ridotta nella cessione di beni in edilizia, è di fondamentale importanza definire il concetto di beni finiti e quello di materie prime o semilavorati.

I primi sono, per definizione generale, quei beni che, anche successivamente al loro impiego nella costruzione o nell’intervento di recupero, non perdono la loro individualità, pur incorporandosi nell’immobile (risultano ancora attuali, a questo proposito, le circolari ministeriali 25/1979 e 14/1981). Sono state fornite anche esemplificazioni pratiche nel tempo (in particolare, nelle circolari 14/1981 e 1/1994), indicando quali beni finiti, per esempio, gli ascensori, i montacarichi, gli infissi esterni e interni, i sanitari per il bagno, i prodotti per impianti idrici, per impianti di riscaldamento, nonché le relative prestazioni accessorie di posa in opera. “Trattasi, infatti, di beni aventi caratteristiche tali da poter essere sostituiti in modo assolutamente autonomo dalla struttura della quale fanno parte e che conservano, quindi, la propria individualità” (risoluzione 39/1996).
Non sono da considerare beni finiti quelli che, pur essendo prodotti finiti per il cedente, costituiscono materie prime o semilavorate per il cessionario (per esempio, mattoni, maioliche, chiodi, eccetera).

Per esclusione, tutti gli altri materiali (che quindi non hanno le caratteristiche sopra elencate) sono da considerarsi materie prime e, a titolo esemplificativo, la circolare ministeriale 142/1994 ha elencato: materiali e prodotti dell’industria lapidea in qualsiasi forma e grado di lavorazione; materiali inerti, quali polistirolo liquido o in granuli; leganti e loro composti; laterizi quali tegole, mattoni, tavelle, tabelloni e comignoli; manufatti e prefabbricati in gesso, cemento, laterocemento, ferrocemento, fibrocemento; materiali per pavimentazione interna o esterna e per rivestimenti, quali moquette, pavimenti in gomma, pavimenti in Pvc, piastrelle di grès, marmo, maiolica, ceramica, lastre di marmo, listoni e doghe in legno, perline, pannelli di legno per rivestimenti, linoleum, carte da parati, piastrelle da rivestimento murale in sughero, battiscopa; materiale di coibentazione, impermeabilizzanti, quali isolanti flessibili in gomma per tubi.

Il legislatore tributario, sin dalla prima emanazione del Dpr 633/1972, ha ritenuto opportuno prevedere un regime agevolato per le operazioni imponibili nel campo dell’edilizia, discriminando, all’interno di queste, fra operazioni di cessione di beni finiti, di cessione di materie prime e semilavorate per l’edilizia e di prestazioni di servizi in dipendenza di contratti d’appalto.
Attualmente, dopo diverse modifiche e integrazioni, le varie fattispecie sono state inserite in alcune voci delle parti II e III della tabella A allegata al Dpr 633/1972.

L’applicazione dell’aliquota ridotta è limitata a quei beni (appunto denominati “beni finiti”) acquistati da un soggetto che li impiega direttamente in una delle realizzazioni “agevolate”, sia che questo soggetto costruisca “in economia” sia che esegua lavori in appalto e subappalto.
Da ciò discende che gli stessi beni che si trovino non nell’ultimo anello della fase di commercializzazione, bensì in uno stadio precedente, non possono beneficiare dell’aliquota ridotta (per esempio, sconterà l’aliquota ridotta la cessione di infissi da parte di un commerciante a un privato che costruisce una casa di abitazione con le caratteristiche non di lusso, mentre gli stessi infissi acquistati da un commerciante presso un grossista dovranno essere assoggettati ad aliquota ordinaria).

In particolare, si applica l’aliquota del 4% per la vendita di prodotti finiti relativi alla costruzione dei cosiddetti edifici Tupini (articolo 13 della legge 408/1949), delle costruzioni rurali a destinazione abitativa (inseriti alla voce n. 24 della tabella A, parte II, allegata al Dpr 633/1972).

L’aliquota del 10% si applica, invece, per la vendita di prodotti finiti forniti per la costruzione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria elencate nell’articolo 4 della legge 847/1964 (integrato dall’articolo 44 della legge 865/1971), oltre che per la cessione di beni finiti forniti per la realizzazione degli interventi di recupero di cui all’articolo 31 della legge 457/1978, esclusi quelli di cui alle lettere a) e b) del comma 1 del medesimo articolo (in pratica si escludono gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria) di cui alla voce n. 127-terdecies della tabella A, parte III, allegata al Dpr 633/1972.

Tali principi si ritrovano anche nella risoluzione prot. 353485 del 1982, sulla cessione di caminetti, che, dopo aver classificato tali beni tra quelli finiti “in quanto sia da un punto di vista strutturale che funzionale rientrano a pieno nel concetto di bene finito sopra illustrato”, evidenzia la diversa aliquota Iva applicabile a seconda della cessione. Pertanto, i caminetti dovranno essere assoggettati ad aliquota agevolata del 2% (allora vigente) se ceduti a “chi li impiega per realizzare immobili agevolati (case non di lusso, scuole, case rurali, eccetera). Sono invece da assoggettare all’aliquota ordinaria le cessioni di caminetti effettuate in una fase di commercializzazione diversa da quella testé indicata (ad esempio: cessioni dal produttore al grossista) ovvero le cessioni le cessioni effettuate nei confronti di chi li impiega per realizzare immobili non agevolati (ad esempio: alberghi)”. Altro aspetto importante evidenziato dalla risoluzione è che oggetto della cessione “deve, comunque, essere il caminetto completo, ne sia o meno prevista la posa in opera: nell’ipotesi infatti che vengano cedute singole parti, ciascuna dovrà essere assoggettata all’aliquota propria”.

Nel caso invece di fornitura di materie prime o semilavorate, si applica l’aliquota ordinaria, qualora si tratti di semplice compravendita (indipendentemente dai soggetti tra cui è posta in essere) anche se corredata dall’eventuale posa in opera.
Il criterio discriminate per l’eventuale applicabilità di aliquote agevolate nel caso di materie prime o semilavorate è nel tipo di contratto che intercorre tra le parti ovverosia se prestazione di servizi dipendente da contratto di appalto oppure cessione di beni con o senza prestazione accessoria della posa in opera.
Per qualificare un contratto come appalto (piuttosto che vendita con posa in opera), occorre verificare la concreta volontà delle parti ovvero verificare se prevale l’obbligazione di fare rispetto a quella di dare. Laddove si tratta di appalto, è applicabile l’aliquota Iva ridotta anche in presenza di materie prime o semilavorate impiegate per la realizzazione dell’opera commissionata dal cliente (per esempio un impianto idro-sanitario, di riscaldamento, elettrico, eccetera), precisamente il 4% per interventi di cui alla voce n. 39 della tabella A, parte II, e del 10% per gli interventi previsti dalle voci 127-septies, 127-duodecies, 127-quaterdecies della tabella A, parte III, nonché per gli interventi edilizi previsti dall’articolo 7, comma 1, lettera b), della legge 488/1999 (esplicitati al paragrafo n. 4 della circolare 71/2000).

Con riferimento a tale ultima disposizione di natura derogatoria, sempre prorogata nel corso degli anni, va ricordato che la legge 191/2009 (Finanziaria 2010) l’ha resa stabile, prevedendo “a regime” l’aliquota ridotta del 10% per le manutenzioni ordinarie e straordinarie (lettere a) e b) dell’articolo 31 della legge 457/1978) effettuate su edifici a prevalente destinazione abitativa privata.
In tal caso, l’applicazione dell’aliquota ridotta è condizionata dall’eventuale impiego dei “beni significativi” individuati dal Dm 29/12/1999 (ascensori e montacarichi, infissi esterni e interni, caldaie, videocitofoni, apparecchiature di condizionamento e riciclo dell’aria, sanitari e rubinetteria da bagno, impianti di sicurezza). In pratica, occorre considerare il valore complessivo della prestazione, individuare il valore del bene significativo e sottrarlo dal corrispettivo. La differenza costituisce il limite di valore entro cui anche alla fornitura del bene significativo è applicabile l’aliquota ridotta. Il valore residuo del bene, invece, va assoggettato all’aliquota ordinaria del 20 per cento.
Vincenzo Loiacono

Fonte: http://www.nuovofiscooggi.it/analisi-e-commenti/articolo/iva-agevolata-edilizia-breve-excursus-fra-norme-e-prassi

Video-email e Web 2.0 per il marketing aziendale

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Secondo una ricerca condotta da GetResponse, sono sempre di più le aziende di piccole e medie dimensioni che fanno affidamento sui nuovi sistemi di comunicazione offerti dalla Rete per promuovere la propria attività.

In particolare, un numero in costante crescita di addetti al marketing predilige l’inserimento di video nelle email, ritenendolo una misura efficace per l’acquisizione di nuovi clienti e per il consolidamento dei rapporti con quelli già esistenti.

Leggi tutto l’articolo di Cristiano Ghidotti su www.oneweb20.it

Fonte: http://lazio-side.it/attualita/news/video-email-web-20-per-il-marketing-aziendale.html

Cipe: in Gazzetta rettifica risorse da disimpegnare

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E’ stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale (GU n. 55 del 8-3-2010) la DELIBERAZIONE 6 novembre 2009: Rettifica delle risorse da disimpegnare sulle quote assegnate a favore delle regioni Marche, Abruzzo, Puglia e Molise, in relazione alla delibera CIPE n. 179/2006. (Deliberazione n. 90/2009).
COMITATO INTERMINISTERIALE PER LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA
DELIBERAZIONE 6 novembre 2009
Rettifica delle risorse da disimpegnare sulle quote assegnate a favore delle regioni Marche, Abruzzo, Puglia e Molise, in relazione alla delibera CIPE n. 179/2006. (Deliberazione n. 90/2009). (10A02860)
IL COMITATO INTERMINISTERIALE PER LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA
Visti gli articoli 60 e 61 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 legge finanziaria 2003), con i quali vengono istituiti, presso ilMinistero dell’economia e delle finanze e il Ministero delleattivita’ produttive, i fondi per le aree sottoutilizzate(coincidenti con l’ambito territoriale delle aree depresse di cuialla legge n. 208/1998 e al citato fondo istituito dall’art.19, comma5, del decreto legislativo n. 96/1993) nei quali si concentra e sida’ unita’ programmatica e finanziaria all’insieme degli interventiaggiuntivi, a finanziamento nazionale, che, in attuazionedell’art.119, comma 5, della Carta costituzionale, sono rivolti alriequilibrio economico e sociale fra aree del Paese;
Visto l’art. 1, comma 2, del decreto-legge 18 maggio 2006, n. 181,convertito dalla legge 17 luglio 2006, n. 233, che trasferisce alMinistero dello sviluppo economico il Dipartimento per le politichedi sviluppo e di coesione e le funzioni di cui all’art. 24, comma 1,lettera c) del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, ivi inclusa la gestione del Fondo per le aree sottoutilizzate;
Vista la propria delibera 9 maggio 2003, n. 17 (Gazzetta Ufficiale n. 155/2003), che nel confermare sostanzialmente le regole e i metodi fissati con la delibera n. 36/2002, ha stabilito, al punto 6.4, che coerentemente con gli obiettivi dell’accelerazione della spesa edella premialità previsti dall’art. 73 della citata leggefinanziaria 2002, le risorse assegnate con la suddetta delibera nonimpegnate entro il 31 dicembre 2005, attraverso obbligazionigiuridicamente vincolanti, quali risultano dai dati forniti dalle amministrazioni centrali e regionali destinatarie delle risorse stesse, saranno riprogrammate da questo Comitato;
Vista la propria delibera 22 dicembre 2006, n. 179 (GazzettaUfficiale n. 118/2007) che, in attuazione della richiamata delibera n. 17/2003, ha determinato per ciascuna regione e provincia autonoma l’ammontare delle risorse da decurtare in quanto non impegnate attraverso obbligazioni giuridicamente vincolanti nei terminiprevisti;
Vista la nota n. 21525 del 31 ottobre 2008 con la quale il Ministrodello sviluppo economico ha presentato la proposta di rettifica parziale della citata delibera n. 179/2006 concernente in particolarei nuovi importi da decurtare a fronte delle assegnazioni disposte in precedenza a favore delle regioni Abruzzo, Marche, Molise e Puglia con la richiamata delibera n. 17/2003;
Considerato che l’esigenza di apportare tali rettifiche è determinata da meri errori materiali verificatisi nell’inserimento da parte delle dette regioni, nell’applicativo intese attivo presso ilMinistero dello sviluppo economico, Dipartimento per lo sviluppo e lacoesione economica, dei dati relativi agli impegni assunti a valere sulla citata delibera n. 17/2003;
Delibera:
A fronte delle assegnazioni disposte con la delibera n. 17/2003, lerisorse da decurtare di cui all’allegato 1 della delibera n. 179/2006 richiamata in premessa sono cosi’ modificate:
per la regione Abruzzo, l’ammontare delle risorse da decurtaresulla quota F3 della delibera n. 17/2003 e’ pari a 2.050.000,18 euro,con una riduzione di 584.554 euro;
per la regione Marche, l’ammontare delle risorse da decurtaresulla quota F3 della delibera n. 17/2003, e’ pari a 2.810.988,10euro, con un incremento di 268.754 euro;
per la regione Molise, l’ammontare delle risorse da decurtaresulla quota F4 della delibera n. 17/2003, e’ pari a 2.308.000 euro,con una riduzione di 2.300.000 euro;
per la regione Puglia, l’ammontare delle risorse da decurtaresulla quota F3 della delibera n. 17/2003, e’ pari a 41.658.266,08euro, con una riduzione di 15.947.917 euro.
Pertanto il totale rettificato delle risorse da decurtare, neiconfronti delle regioni e delle province autonome di Trento e Bolzano, di cui all’allegato 1 della delibera 179/2006 e’ pari a euro154.738.053,95 in luogo dell’importo originario di 173.301.770,95 euro.
Fonte: www.regioni.it

Ditta individuale e piccola impresa sempre più immigrata

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Nel nostro Paese le piccole imprese e le ditte individuali parlano sempre di più una lingua straniera. Le ultime rilevazioni ufficiali e consolidate, riferite ai primi sei mesi dello scorso anno, quando ancora la crisi picchiava duro, indicano che sono nate in Italia ben 20 mila piccole realtà imprenditoriali con titolare non appartenente all’Unione Europea; contestualmente, nello stesso periodo, altre 13 mila imprese individuali con titolare immigrato hanno chiuso i battenti, ma il saldo è ampiamente positivo e conferma nel nostro Paese l’avanzata inarrestabile dell’imprenditoria immigrata che conta oramai oltre 300 mila imprese a fronte di un contributo del 10% sul nostro prodotto interno lordo.

L’imprenditore immigrato, in accordo con quanto riporta la Confcommercio, è sia giovane, sia intraprendente: basti pensare che il 15% di questi ha un’età inferiore ai 30 anni, e comunque ben sette su dieci non hanno più di cinquanta anni; l’impresa immigrata, inoltre, contribuisce, anche se in parte, ad arrestare l’emorragia di imprese che negli ultimi due anni sono scomparse. A fronte infatti di quasi 100 mila imprese con titolare italiano che hanno chiuso negli ultimi due anni, nello stesso periodo il saldo per l’imprenditoria immigrata è positivo per 34 mila unità.

Per quanto riguarda i settori dell’economia in cui operano, gli immigrati nel nostro Paese, in un caso su due, sono attivi nel settore del commercio e poi a seguire il comparto delle costruzioni, con una quota pari al 30% circa, ed il manifatturiero con il 10% circa, mentre per quel che riguarda la loro provenienza nel 25% dei casi proviene dall’Africa con in testa il Marocco ed a ruota il Senegal, la Tunisia, l’Egitto e la Nigeria.

A fronte di tanta intraprendenza, l’imprenditoria immigrata nel nostro Paese ancora si scontra però con il problema dell’accesso al credito; basti pensare che oltre il 25% delle imprese italiane con titolare immigrato non ha mai avuto rapporti con un istituto di credito, neanche per aprire un conto corrente bancario.

Fonte: http://www.vostrisoldi.it/articolo/ditta-individuale-e-piccola-impresa-sempre-piu-immigrata/25887/

Made in Italy: etichetta frena frodi alimentari

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Grazie all’obbligo d’indicazione d’origine in etichetta, le frodi alimentari sull’olio extravergine di oliva sono crollate del 35%. A metterlo in risalto è la Coldiretti in accordo con le dichiarazioni rilasciate dal Generale Cosimo Piccinno, comandante dei carabinieri dei Nas, sottolineando come questi risultati devono far sì che venga accelerata l’introduzione dell’obbligo d’indicazione d’origine in etichetta anche per agli altri alimenti per i quali l’obbligo non sussiste, a partire da un prodotto chiave come il latte a lunga conservazione ed i suoi derivati.

Oltre al latte a lunga conservazione, non c’è ancora obbligo di indicazione d’origine in etichetta per molti prodotti alimentari: dalla pasta alla carne di coniglio e passando per i formaggi non dop, la frutta e la verdura trasformata, il pane, la pasta, i salumi e la carne di maiale, mentre l’obbligo dell’indicazione d’origine in etichetta, oltre che per l’olio extravergine di oliva, c’è anche per il latte fresco, le uova, il miele, la carne bovina, quella di pollo e derivati, il pesce e la passata di pomodoro.

Nel complesso, l’Organizzazione degli agricoltori pone l’accento sul fatto che ancora metà della spesa fatta dagli italiani è anonima sebbene il 97% degli italiani, in base ad un’indagine Coldiretti-Swg, sia favorevole, anzi considera necessaria l’indicazione obbligatoria nell’etichetta del luogo d’origine da dove proviene la materia prima agricola che ha portato alla realizzazione del prodotto.

Estendendo in maniera generalizzata l’indicazione obbligatoria d’origine in etichetta sui prodotti alimentari si tutelerebbero non solo i produttori italiani, ma anche i consumatori visto che la Coldiretti ricorda come mediamente tre cartoni di latte a lunga conservazione su quattro vengono venduti senza alcuna indicazione in etichetta e con la materia prima che proviene dall’estero all’insaputa di chi li acquista.

Fonte: http://www.vostrisoldi.it/articolo/made-in-italy-etichetta-frena-frodi-alimentari/25879/

Italia, Pil a picco ma migliora l’industria

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Inizia a dare segnali di ripresa la produzione industriale in Italia. Secondo l’ultima ricerca dell’Istat, l’Istituto nazionale di statistica, la produzione industriale a gennaio è cresciuta del 2,6% su base mensile, anche se su base annua si registra ancora un calo che raggiunge il 3,3%. Comunque un dato migliore del mese precedente, dicembre, quando su base mensile c’era stato un calo dello 0,2%. Secondo il responsabile dell’indagine dell’Istituto di statistica, si tratta del primo dato tendenziale positivo dall’aprile del 2008 ed è anche un segnale importante e significativo che l’industria nazionale si trova nella fase finale del tunnel della recessione.

La crescita dell’industria italiana nel mese di gennaio si deve in massima parte al boom del settore auto. La produzione degli autoveicoli nel primo mese del 2010 ha registrato un aumento annuale del 44,1%, anche se gli entusiasmi sono frenati dalla media degli ultimi tre mesi, che è risultata invariata rispetto a quella dei tre mesi immediatamente precedenti.
A livello settoriale i beni strumentali hanno registrato un incremento del 3,3%, l’energia del 2,3%, i beni intermedi del 2,1% e i beni di consumo un rialzo dell’1%, con una crescita del 3,3% per i beni durevoli e un calo dello 0,1 % per i beni non durevoli.

Dall’Istat arrivano conferme anche dal fronte della intera produzione lorda nazionale. Nel quarto trimestre del 2009, secondo i dati definitivi l’Istituto nazionale di statistica, il Pil è calato dello 0,3% rispetto al precedente trimestre, nel quale aveva realizzato un rialzo dello 0,5%. Su base annua il calo è del 3% rispetto al calo 4,8% del terzo trimestre del 2009. Ma l’andamento per l’intero 2009, dall’1 gennaio al 31 dicembre viene corretto al ribasso rispetto alle precedenti stime. Nei 12 mesi dello scorso anno la variazione media è stata negativa del 5,1% rispetto la stima di una discesa del 4,9%.
Fonte: http://www.vostrisoldi.it/articolo/italia-pil-a-picco-ma-migliora-l-industria/25885/

Decreto per le famiglie, proposta Federconsumatori

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I dati odierni dell’Istat relativamente al prodotto interno lordo, crollato del 5,1% nel 2009 in Italia, riaccendono il dibattito sulla portata della crisi che ha investito il nostro Paese, e che rischia di lasciare il segno per parecchi anni sulla nostra economia. L’Italia negli ultimi anni è stato un Paese il cui prodotto interno lordo è cresciuto a ritmi bassi, spesso al rallentatore, ragion per cui per andare a recuperare la perdita secca del PIL 2009 potrebbero passare anche diversi anni.

Nel frattempo, in Italia il lavoro scarseggia, tantissime imprese sono in difficoltà, e mediamente le famiglie se la passano peggio rispetto al periodo pre-crisi. Di conseguenza, secondo la Federconsumatori, è necessario che il Governo provveda a mettere a punto una decretazione d’urgenza finalizzata a sostenere i redditi delle famiglie; nello specifico, l’Associazione dei Consumatori chiede un provvedimento urgente che, in due soli punti, garantisca il blocco delle tariffe che, tra l’altro, è stato già promesso dal Governo, ed una detassazione sui redditi per 100 euro al mese, ovverosia 1.200 euro l’anno, a favore di quelle famiglie italiane che vivono di reddito fisso, sia esso da lavoro oppure da pensione.

La Federconsumatori, dopo la caduta PIL 2009 al 5,1%, stima che in Italia quest’anno il prodotto interno lordo resterà piatto, ovverosia a crescita zero, in assenza di interventi finalizzati a mettere in moto gli investimenti ed a rilanciare la domanda di mercato. Lo stesso dicasi per i consumi che risentono fortemente della raffica di licenziamenti e delle centinaia di migliaia di famiglie dove sono presenti lavoratori in cassa integrazione.

Anche il Codacons, a commento degli odierni dati Istat, ha criticato l’operato del Governo visto che l’economia italiana nel 2009 ha fatto registrare il peggior risultato degli ultimi 65 anni, ovverosia dai tempi della seconda guerra mondiale. Per l’Associazione, a fronte di una crisi di portata eccezionale, il Governo avrebbe dovuto mettere a punto non provvedimenti spot, ma misure altrettanto eccezionali.

Fonte: http://www.vostrisoldi.it/articolo/decreto-per-le-famiglie-proposta-federconsumatori/25907/

Tecnologia: al via a Nettuno “Act”, progetto di accessibilità territoriale

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Il comune di Nettuno e IBM annunciano un importante accordo finalizzato a rendere la città più accessibile ai disabili attraverso l’utilizzo di Tag e smartphone.
Grazie a questo progetto le persone disabili potranno accedere a negozi, uffici, ristoranti e stabilimenti balneari venendo guidati passo passo nel proprio percorso e potendo contribuire a migliorare il servizio attraverso feedback diretti.
IBM ha sviluppato per Nettuno un pilota denominato Act! ovvero Accesibility City Tag database. Act! è un’applicazione per smartphone, messa a punto da IBM Human Centric Solution EMEA in collaborazione con il business partner Neotilus. Dopo aver scaricato l’applicazione sul proprio smartphone, che può essere personalizzata in base alla propria disabilità e memorizzata come preferenza, gli utenti che arrivano a Nettuno possono scoprire quali strutture (negozi, uffici, ristoranti, stabilimenti balneari eccetera) consentono loro l’accesso.
L’utente viene localizzato tramite il GPS e i dati scaricati via wi-fi o rete 3G: in questo modo è possibile conoscere la struttura più vicina, localizzarla ed essere guidati per raggiungerla. In questa fase sperimentale, che durerà per i prossimi tre mesi, l’applicazione è disponibile per i terminali dotati di sistema operativo Android, ed è stata sviluppata con particolare attenzione alle disabilità motorie.
L’obiettivo è quello di raccogliere dati per ottimizzare processi, usabilità e accessibilità delle interfacce anche per i non vedenti, per estendere successivamente il servizio sia ad altre piattaforme (Apple i-phone, symbian, RIM) sia ad altre città che, avendo già raccolto anche parzialmente i dati, desiderassero offrire lo stesso tipo di servizio ai propri cittadini e visitatori.
Fonte: http://lazio-side.it/attualita/news/tecnologia-al-via-nettuno-act-progetto-di-accessibilita-territoriale.html