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Pubblicità ingannevole per un consumatore su tre

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Quello relativo alla pubblicità ingannevole in Italia è un fenomeno in crescita, con un cittadino su tre che ne è vittima. A denunciarlo, lanciando l’allarme, è il Codacons che, in particolare, sottolinea come nel nostro Paese il fenomeno si stia ingigantendo sempre di più rispetto agli anni passati. Solo nel 2009, non a caso, sono state oltre 2.700 le segnalazioni che in materia di pubblicità ingannevole sono state inoltrate all’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato (Antitrust); l’Agcm, nella sua relazione annuale, infatti, ha fatto presente come le segnalazioni nell’arco di dodici mesi siano arrivate a quota 2.781 rispetto alle 1.591 dell’anno precedente.

E proprio in merito alla pubblicità ingannevole domenica prossima, 7 marzo 2010, alle ore 7:30 su Raiuno, il Presidente del Codacons, Carlo Rienzi, all’interno della trasmissione “Unomattina Weekend’, spiegherà insieme ad Antonio Catricalà, Presidente dell’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato, i trucchi per evitare di cadere in trappola a causa della pubblicità ingannevole.

Le stime del Codacons rivelano purtroppo come un cittadino su tre nel nostro Paese acquisti beni e servizi basandosi su messaggi pubblicitari che si rivelano ingannevoli e fuorvianti. Questo perché, tra l’altro, a causa della contrazione dei consumi per effetto della crisi, le grandi imprese che investono in pubblicità sui media adottano scelte di marketing aggressive al fine di spingere i consumatori ad acquistare i loro prodotti.

Il consumatore, infatti, a causa dei pochi soldi in tasca, come mette in risalto l’Associazione, quando compra beni e servizi è più attento e cerca di fare scelte oculate; ma nello stesso tempo si investe in pubblicità ed in azioni di marketing con le quali le aziende si ingegnano al fine di far apparire i loro prodotti più convenienti ed appetibili quando invece lo sono meno o non lo sono proprio.

Fonte: http://www.vostrisoldi.it/articolo/pubblicita-ingannevole-per-un-consumatore-su-tre/25707/

Il risparmio gestito nel 2009 si difende bene

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Il rialzo delle Borse tra marzo e dicembre ha permesso al risparmio gestito di chiudere un anno limitando i danni al massimo e mettendosi alle spalle il terribile 2008. Secondo la rilevazione di Assogestioni al 31 dicembre 2009 tra uscite di capitali e nuove sottoscrizioni, le Gestioni Collettive, che comprendono fondi comuni e Sicav, sono andate in rosso di soli 25 milioni, un buon risultato se si considera l’anno horribilis del 2008. Ha contribuito al recupero l’andamento dell’ultimo trimestre dell’anno dove la raccolta è stata per 6,5 miliardi, risultato che ha permesso di portare il patrimonio complessivo a oltre 476 miliardi.

Entrando nello specifico, hanno faticato i fondi comuni di investimento aperti la cui raccolta netta annuale segna un valore negativo di 683 milioni, che fa scendere il patrimonio totale gestito da questi strumenti a 438 miliardi di euro. Tra le varie categorie che compongono i fondi comuni, secondo la catalogazione di Assogestioni, alcuni sono andati bene e altri un po’ meno. Azionari, Bilanciati, Obbligazionari, Immobiliari e Non classificati chiudono l’anno con una raccolta positiva, mentre è stata negativa la raccolta per Flessibili, Monetari ed Hedge.

Gli Obbligazionari hanno fatto la parte del leone mettendo a segno una raccolta di 23 miliardi, risultato che non stupisce, per altro, in un mercato azionario difficile. E’ andata altrettanto bene quella dei fondi Flessibili che ha raggiunto nell’intero 2009 i 18 miliardi di euro raccolti. Seguono i Bilanciati con un risultato, però, pari alla metà dei flessibili con 9 miliardi raccolti.

Gli Azionari devono accontentarsi di 4,4 miliardi di euro di raccolta, probabilmente perché i risparmiatori hanno iniziato in ritardo ad avvicinarsi alle Borse rispetto al rally partito a marzo 2009. Delusione assoluta invece per gli Hedge Funds, stella calante del mondo del risparmio gestito, che nel 2009 hanno accusato un deflusso netto di capitali per 5,5 miliardi.

Fonte: http://www.vostrisoldi.it/articolo/il-risparmio-gestito-nel-2009-si-difende-bene/25693/

Ogm: patata transgenica interessa alle multinazionali

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Ogni anno nel mondo vengono prodotti ben 322 miliardi di chili di patate. A fornire questo dato è la Coldiretti dopo che lo stop alla moratoria Ue sugli ogm rischia di far arrivare sul mercato la prima patata transgenica. Quello delle patate prodotte da organismi geneticamente modificati è un business che fa gola alle multinazionali se si considera che trattasi del quarto alimento più prodotto al mondo dopo il riso, il frumento ed il mais. Inoltre, l’Organizzazione degli agricoltori ricorda anche che in Italia, dopo il pomodoro, quella delle patate rappresenta la produzione orticola più vasta sia in termini di quantità prodotte, sia in termini di superficie coltivata.

La stragrande maggioranza dei cittadini italiani e delle imprese agricole vuole avere i propri territori liberi dagli Ogm, ma secondo la Coldiretti, con l’avvio della produzione della patata transgenica si rischierebbe una inevitabile contaminazione sia a causa della conformazione morfologica dei nostri terreni, sia per effetto delle dimensioni ridotte che molte imprese agricole hanno nel nostro Paese.

Di conseguenza, si metterebbe a rischio la tipicità e la biodiversità del nostro made in Italy a favore dell’omologazione; le condizioni climatiche non omogenee nel nostro territorio, in accordo con quanto mette in risalto la Coldiretti, permette ogni anno di avere nell’arco di ben dieci mesi sempre patate Ogm free fresche con il top di produzione in Regioni come la Campania, la Sicilia e l’Emilia Romagna.

Inoltre, c’è da dire che la patata transgenica Amflora, la cui produzione è a cura del colosso Basf, è stata al centro di una vera e propria disputa in merito alla sua autorizzazione visto che c’è un gene che genera resistenza ad un particolare antibiotico che è fondamentale per la nostra salute. Quindi, a fronte di una patata che è bella a vedersi, e che contiene più amido, bisogna poi fare i conti come al solito sui dubbi legati a possibili rischi per la salute quando si portano in tavola questi prodotti transgenici.

Fonte: http://www.vostrisoldi.it/articolo/ogm-patata-transgenica-interessa-alle-multinazionali/25683/

Come evitare i contratti di assicurazione pluriennali

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Nel nostro Paese in materia di assicurazioni sono tornati i contratti pluriennali. A metterlo in evidenza nei giorni scorsi era stato il CTCU, Centro Tutela Consumatori Utenti, che ora “rilancia” annunciando che sta predisponendo una lista virtuosa di compagnie di assicurazioni che, per quel che riguarda il ramo danni, offrono solo ed esclusivamente contratti aventi una durata annuale. I contratti pluriennali, lo ricordiamo, possono rappresentare alla lunga una soluzione sconveniente, e non più col tempo confacente a propri bisogni assicurativi, nonostante lo sconto applicato dalla compagnia rispetto alla classica polizza con scadenza annuale.

Di conseguenza, il Centro Tutela Consumatori Utenti ha inviato nell’Alto Adige a tutti gli intermediari assicurativi una lettera presentando loro la proposta di inserimento nella lista virtuosa. Nel frattempo il CTCU, contrario ai contratti pluriennali che ingessano il mercato, e tengono letteralmente “prigioniero” il contraente, s’è già rivolto alla Commissione Europea affinché i contratti pluriennali assicurativi del ramo danni vengano messi a bando visto che, tra l’altro, violano tutta una serie di direttive e di regolamenti comunitari.

Il CTCU punta quindi a raccogliere le adesioni di quegli intermediari assicurativi che sono contro i contratti pluriennali, in modo da dar loro visibilità direttamente sul sito Internet del Centro Tutela Consumatori Utenti, www.centroconsumatori.it. Consultando la lista virtuosa i consumatori potranno di conseguenza recarsi presso quelle agenzie che offrono solo ed esclusivamente contratti aventi una durata annuale.

Con un contratto di durata annuale, infatti, il contraente è maggiormente tutelato nel momento in cui si conclude il contratto stesso visto che ha una maggiore capacità di scelta; con il contratto pluriennale, invece, si ostacola la concorrenza e la mobilità di mercato nel settore assicurativo, e si vincola il consumatore a pagare per diversi anni un premio magari per coperture di cui non ha più bisogno o che non risultano essere più perfettamente rispondenti alle proprie esigenze.

Fonte: http://www.vostrisoldi.it/articolo/come-evitare-i-contratti-di-assicurazione-pluriennali/25687/

Internet sicuro: bando dell’Unione europea

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Pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea odierna, serie C 48/07 l’Invito a presentare proposte per il 2010 per azioni indirette nell’ambito del programma comunitario pluriennale per la protezione dei bambini che usano Internet e altre tecnologie di comunicazione – Internet più sicuro

Il programma sull’uso più sicuro di internet persegue quattro linee di azione:

a) la sensibilizzazione del pubblico;

b) la lotta contro i contenuti illeciti e i comportamenti dannosi in linea;

c) la promozione di un ambiente in linea più sicuro;

d) la creazione di una base di conoscenze

La dotazione di bilancio indicativa per il presente invito, nel quadro del bilancio 2010, ammonta a 3 milioni di EUR di contributo dell’Unione europea.

Termine ultimo per la ricezione di tutte le proposte – su supporto cartaceo in un (1) originale e cinque (5) copie, assieme ad una copia elettronica su CD-Rom –

entro le ore 17.00 del 27 maggio 2010 (ora di Lussemburgo).

INPS: recupero crediti per 4,6 miliardi nel 2009, oltre 8 miliardi dagli evasori nel 2010

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Nel corso del 2009 l’Inps ha recuperato crediti per oltre 4 miliardi e mezzo, per l’esattezza 4,6 miliardi di euro che vuol dire il 65,9% in piùrispetto al 2008. E’ uno dei capitoli di contrasto all’evasionecontributiva, che conta anche delle attività di vigilanza e diaccertamento.Sui dati di cassa che si stanno chiudendo in queste settimane, ilpresidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua, commenta così: “Nel corsodell’anno appena passato l’Istituto è riuscito a recuperare risorseaggiuntive che consentiranno di presentare un bilancio assai positivo alprossimo appuntamento del Rapporto annuale in programma il 27aprile. Il capitolo del recupero crediti è tra quelli in cui è più evidentel’intervento attivo dell’Istituto, la sua rinnovata efficienza e la suaattenzione a svolgere in pieno la sua missione al servizio del Paese,anche nella fase di recupero di risorse da mettere a disposizione dellacollettività”.
I 4,6 miliardi di recupero crediti è avvenuto nel 2009 in gran parte pervia diretta amministrativa: 2,8 miliardi, contro 1,5 del 2008, con unincremento di quasi l’82%. Il restante miliardo e 800 milioni (contro 1,2miliardi del 2008) recuperato nel corso del 2009 è frutto dell’attività deiconcessionari dell’Inps.L’efficienza dei controlli effettuati dall’Inps ha messo in luce ladisponibilità dei contribuenti ritardatari a regolare i propri conti conl’Istituto prima dell’emissione delle cartelle esattoriali.Oltre all’attività di recupero crediti, la lotta dell’Inps contro gli evasoriseguirà nel corso del 2010 altri due versanti: “I nostri ispettoriaccentueranno nel corso di quest’anno l’azione di contrasto al lavoronero, che vuol dire assicurare i diritti ai lavoratori e recuperare i dovuticontributi delle aziende – aggiunge il presidente dell’Inps, Mastrapasqua– se l’anno scorso abbiamo accertato oltre 1,5 miliardi di euro dicontributi evasi, nel 2010 l’obiettivo è ancora più ambizioso. Ma c’è unnuovo fronte aperto di contrasto all’evasione: l’accertamento neiconfronti di imprese e lavoratori autonomi che non risultano iscrittiall’Inps. Alla fine del 2009 abbiamo messo a punto un campione di45mila soggetti controllati. Nel corso del 2010 andremo a verificareoltre 650mila soggetti. Stimiamo di poter recuperare dall’operazionealmeno due miliardi di euro”.Dalla somma delle nuove attività di recupero crediti, dal controllo sullavoro nero e dall’attività di accertamento, nel corso del 2010 l’Inpsstima di poter recuperare almeno 8 miliardi di euro da chi ha evasol’obbligo del contributo previdenziale.

Bonus gas 2010: può arrivare fino a 236 euro

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Il bonus gas 2010, per i nuclei familiari dove sono presenti più di tre figli, può arrivare fino a 236 euro, mentre arriva fino a 164 euro per quelle famiglie dove non si superano i quattro componenti. Quella del bonus gas è un’iniziativa promossa anche in collaborazione con le Ferrovie dello Stato, le quali, tra l’altro, ricordano come ci sia ancora tempo per ottenere anche il bonus gas 2009, in maniera retroattiva, presentando la domanda entro e non oltre il prossimo 30 aprile 2010. Le domande per il bonus gas sono partite di recente, mentre da più tempo c’è la possibilità di presentare domanda per il bonus elettrico con le due agevolazioni che sono tra l’altro cumulabili.

Al pari del bonus elettrico, anche il bonus gas è una misura messa a punto dall’attuale Governo in carica che mira ad aiutare le famiglie a basso reddito con uno sconto sulla bolletta energetica sia per quanto riguarda i consumi domestici di gas, sia quelli relativi all’energia elettrica. Devono essere infatti rispettati opportuni limiti di reddito per l’accesso al bonus gas rilevati in funzione dell’Isee, l’indicatore della situazione economica equivalente, che è più elevato per le famiglie con più figli a carico.

In Italia sono già oltre 1,3 milioni le famiglie che hanno richiesto ed ottenuto il bonus elettrico, mentre il bonus gas, anche se non si presenta domanda entro il 30 aprile 2010, lo si può richiedere anche in seguito ed a valere sui dodici mesi successivi alla presentazione dell’istanza. Per informazioni è attivo il numero verde gratuito dello “Sportello del Consumatore” chiamando all’800 166 654.

Inoltre, per saperne di più, e per scaricare il modulo per presentare la domanda, ci si può collegare sul Web anche al sito Internet del Ministero dello Sviluppo Economico, www.sviluppoeconomico.gov.it, a quello dell’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas, www.autorita.energia.it, oppure a quello dell’Anci, l’Associazione Nazionale Comuni Italiani, www.bonusenergia.anci.it.

Fonte: http://www.vostrisoldi.it/articolo/bonus-gas-2010-puo-arrivare-fino-a-236-euro/25667/

Ritardo pagamenti, Confartigianato chiede leggi severe

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Le piccole e medie imprese italiane in materia di pagamenti da parte di Enti pubblici e di grandi imprese hanno dei grossi problemi. Secondo quanto messo in evidenza dal Segretario Generale di Confartigianato, Cesare Fumagalli, in Audizione alla Camera, rispetto alla media europea le PMI italiane attendono per ben 31 giorni in più prima di ricevere i pagamenti da parte dei grandi committenti, mentre per la Pubblica Amministrazione, e non è una novità, i tempi sono biblici e per la precisione pari in media a 128 giorni rispetto ad una media europea di 65.

E visto che, secondo Cesare Fumagalli, i “cattivi pagatori” mettono le PMI nelle condizioni di non farcela, è necessario che vengano messe a punto delle norme severe; la situazione s’è fatta in merito più grave con la crisi degli ultimi due anni, visto che molte piccole e medie imprese si sono ritrovate con posizioni liquide zero, spesso sottozero, nonostante la maturazione di crediti verso la PA ed i grandi committenti i cui termini di pagamento erano scaduti da un bel pezzo.

Nello specifico, la Confartigianato chiede una “stretta” sulla Pubblica Amministrazione, introducendo e rafforzando l’inderogabilità dei termini affinché la piccola e media impresa possa essere pagata. Inoltre, l’Associazione degli artigiani, nel rapporto contrattuale tra i privati, caldeggia l’introduzione di una sanzione una tantum, ovverosia forfetaria, pari al 5% dell’importo non pagato cui vanno aggiunti i “classici” interessi di mora per ritardato pagamento.

Le PMI, non a caso, sono molto spesso costrette al fine di recuperare il credito ad agire per via giudiziaria assumendosi costi anche di natura amministrativa al fine di disincagliare crediti i cui termini di pagamento sono scaduti, ma che sono praticamente incagliati, ovverosia in sofferenza, e mandano letteralmente la piccola e media impresa in uno stato di asfissia finanziaria.

Fonte: http://www.vostrisoldi.it/articolo/ritardo-pagamenti-confartigianato-chiede-leggi-severe/25629/

Ente e “delegato” conviventi? Valida la notificazione al vicino

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La decisione riguarda il caso in cui il recapito del legale rappresentante coincide con quello della società
È legittima la notificazione di un atto tributario riguardante una persona giuridica eseguita nelle mani del vicino di casa del legale rappresentante dell’ente, al momento della notifica non reperibile presso il suo domicilio.
Questo, in estrema sintesi, il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 4410 del 24 febbraio, in un caso in cui il recapito del liquidatore (e legale rappresentante) di una società coincideva con quello dell’ente rappresentato.

La vicenda di merito
Una società impugnava l’avviso di rettifica emesso a suo carico a seguito di processo verbale di constatazione della Guardia di finanza.
Il ricorso – proposto oltre 60 giorni dopo la notificazione dell’atto impugnato – veniva dichiarato inammissibile dalla Commissione tributaria provinciale, con sentenza confermata dal collegio tributario di seconde cure.
Avverso la pronuncia della Ctr l’interessato ricorreva in sede di legittimità, deducendo violazione degli articoli 139 e 145 del codice di procedura civile, sul rilievo che la notificazione dell’avviso di rettifica era nulla, sicché il termine di impugnazione non sarebbe mai iniziato a decorrere.
L’Agenzia delle Entrate resisteva con controricorso.

Il giudizio in Cassazione
I togati di piazza Cavour hanno rilevato che, con il ricorso originario, la società aveva dedotto la nullità della notificazione dell’atto tributario per violazione delle disposizioni del codice di procedura civile, che regolano il procedimento di notifica di atti destinati a soggetti diversi dalle persone fisiche.
In particolare, nel caso in esame, l’atto risultava notificato “nel comune di Roma, via F. n. 5 mediante consegna al sig. … vicina di casa addetta al ritiro che firma”, mentre nessuna altra indicazione risultava dalla relazione di notifica nella quale, in particolare, neppure appariva chi ne fosse il destinatario.
Dagli atti, si evinceva peraltro che il messo notificatore aveva inviato presso la sede sociale (che si trovava al medesimo recapito presso cui l’atto era stato consegnato) una raccomandata, con la quale si informava il contribuente dell’avvenuta consegna dell’atto nelle mani della vicina di casa del legale rappresentante.

Secondo la società ricorrente, le circostanze che al momento della notifica fossero assenti nella sede sociale i soggetti (persona incaricata di ricevere le notificazioni, legale rappresentante, altra persona addetta alla sede) di cui al primo comma dell’articolo 145 cpc vigente ratione temporis, e la contestuale indicazione, nell’intestazione dell’atto da notificare, della persona fisica che rappresentava l’ente, avrebbero imposto l’osservanza delle regole di cui agli articoli 138 (notificazione in mani proprie) e 141 (notificazione presso il domiciliatario) del codice di rito civile.

Di contro, l’Agenzia difendeva la correttezza del suo operato, sottolineando come, stante l’assenza dei soggetti richiamati dal primo comma dell’articolo 139 cpc, la notificazione dell’atto riguardante la società, in virtù di quanto stabilito dal terzo comma del medesimo articolo 139, doveva intendersi legittimamente effettuata nelle mani della vicina di casa che aveva accettato di ricevere l’atto, anche perché a tale consegna era seguito l’inoltro al destinatario della prescritta raccomandata informativa.

La Cassazione, sul rilievo che, così come risultava dall’avviso di rettifica impugnato, il liquidatore e legale rappresentante della società aveva il recapito presso il domicilio fiscale dell’ente medesimo, in stato di liquidazione, ha accolto la tesi della parte pubblica, rigettando l’originario ricorso dell’interessato.
In particolare, il collegio ha osservato che, nella specie, non sussiste alcuna nullità del procedimento notificatorio.
Laddove sia impossibile la consegna presso la sede della persona giuridica, ma sia indicata nell’atto la persona fisica che rappresenta l’ente, spiega la sentenza 4410/2010, la notificazione deve essere “eseguita ‘a mani proprie’ di quest’ultima o presso la sua residenza, che nella specie coincideva con la sede sociale. Ed in caso di assenza del destinatario e di persona di famiglia o addetta alla sua casa la consegna può avvenire, se manca il portiere, ad ‘un vicino di casa che accetti di riceverla'”.

Nel caso in esame, poiché sede sociale e abitazione del legale rappresentante coincidevano, la consegna dell’atto da parte del messo notificatore a una vicina di casa “implicava insieme la attestazione che quella consegna non era al momento altrimenti possibile né nella sede né nell’abitazione, e la raccomandata spedita all’indirizzo del destinatario ha perfezionato il procedimento sia se indirizzata alla società persona giuridica che se indirizzata al legale rappresentante nella qualità, trattandosi comunque dello stesso soggetto diversamente denominato”.

Considerazioni
Nel disciplinare la fattispecie di notificazione alle persone giuridiche, l’odierno primo comma dell’articolo 145 cpc stabilisce al primo periodo che la notifica in parola “si esegue nella loro sede mediante consegna di copia dell’atto al rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa ovvero al portiere dello stabile in cui è la sede”.
Il successivo periodo – che ripropone sostanzialmente quello che, in passato, era invece il terzo comma dell’articolo 145 – precisa che la notificazione può anche essere effettuata “a norma degli articoli 138, 139 e 141, alla persona fisica che rappresenta l’ente qualora nell’atto da notificare ne sia indicata la qualità e risultino specificati residenza, domicilio e dimora abituale”.

La decisione di legittimità, resa in relazione a una fattispecie ricadente sotto la disciplina del vecchio terzo comma dell’articolo 145, appare utilizzabile anche rispetto alla coincidente previsione oggi “trasferita” nel primo comma della medesima norma.
Con la conseguenza che, laddove la notificazione di un atto indirizzato a una persona giuridica non possa essere effettuata all’indirizzo del legale rappresentante coincidente con la sede sociale, legittimamente l’atto potrà, nel medesimo luogo, essere consegnato a un vicino di casa che accetti di riceverlo, essendo tale modalità di notifica espressamente consentita dalla legge.
Massimo Cancedda
Fonte: http://www.nuovofiscooggi.it/giurisprudenza/articolo/ente-e-delegato-conviventi-valida-la-notificazione-al-vicino

Per dedurre i costi sostenuti l’impresa deve provarne l’inerenza

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Se non è dimostrato il collegamento con l’attività, niente inclusione tra i componenti negativi del reddito
Con la sentenza n. 4443 del 24 febbraio, la Corte di cassazione ha stabilito, in tema di determinazione del reddito d’impresa, che i proventi in natura o in denaro conseguiti a titolo di contributo o di liberalità sono considerati sopravvenienze attive, a meno che il loro ammontare sia accantonato in apposito fondo del passivo e sia destinato alla copertura delle perdite, ovvero non sia utilizzato per uso personale o familiare dell’imprenditore, ovvero ancora non sia distribuito ai soci. In caso contrario il detto ammontare costituisce sopravvenienza attiva tassabile, a prescindere dal suo accantonamento.

Il fatto
La vicenda trattata concerne un avviso di accertamento notificato a una società di capitali, con il quale venivano contestati svariati costi indeducibili in materia di Irpeg e Irap, ossia costi non adeguatamente specificati rispetto ai quali era messo in dubbio il fondamentale principio di ”inerenza”. Inoltre si contestava un contributo per l’acquisto di un terreno in quanto, non trattandosi di bene ammortizzabile, lo stesso doveva essere considerato come ricavo di cassa.
La società opponeva, in sede di impugnazione, che comunque andavano detratti i maggiori ricavi per sopravvenienze attive costituite dai contributi utilizzati per l’acquisto del terreno. Gli altri costi (relativi a lavorazioni su pezzi plastici, a un corso di formazione per l’apprendimento di una lingua straniera e altri per la revisione del bilancio) andavano regolarmente dedotti in quanto asserviti all’esercizio di impresa nei termini fiscali.

Il ricorso trovava parzialmente accoglimento davanti la Commissione tributaria provinciale, la cui decisione veniva completamente riformata pro contribuente dal giudice di appello, il quale argomentava a supporto, quanto al contributo per l’acquisto del terreno, che, al fine di evitare doppia imposizione, il medesimo non poteva essere tassato come ricavo ma essere ricompreso nell’imponibile da computare in conto impianti. Tutti gli altri costi erano comunque inerenti all’attività di produzione dell’impresa.

Ricorre per cassazione l’Agenzia delle Entrate.

Decisione di merito
Secondo la Suprema corte, le doglianze dell’ufficio sono meritevoli di accoglimento.
Relativamente alla prima censura, la conferma della tassazione dei contributi ricevuti per l’acquisto di beni patrimonio discende direttamente dal tenore letterale della normativa inerente del Tuir, nonché dalla giurisprudenza comunitaria (in particolare sentenza Corte di giustizia europea, causa C-427/05 del 27 ottobre 2007).
Secondo la normativa dell’imposizione sui redditi, i proventi in natura o in denaro conseguiti a titolo di contributo o di liberalità sono da considerarsi vere e proprie sopravvenienze attive, che entrano a comporre il reddito d’impresa, ai sensi dell’articolo 55, comma 3, lettera b), del Dpr 917/1986, testo originario applicabile al caso di specie ratione temporis, anche se possono essere esentati dall’imposizione qualora il loro ammontare sia accantonato in apposito fondo del passivo destinato alla copertura delle perdite o non sia stato utilizzato per uso personale o familiare dell’imprenditore o non sia stato distribuito ai soci.

Anche la Corte di giustizia, preso atto che l’imposizione portata dal Dpr 917/1986 è indipendente anche dall’esistenza di contributi comunitari, ha stabilito che l’articolo 21, comma terzo, secondo periodo, del Regolamento Ce n. 4253/88, come modificato dal Regolamento Ce n. 2082/93 ove dispone che i pagamenti ai beneficiari finali “devono essere effettuati senza alcuna detrazione o trattenuta che possa ridurre l’importo dell’aiuto finanziario al quale essi hanno diritto”, non osta a una disciplina tributaria nazionale, quale la citata disposizione del Tuir, che include pure contributi versati dai fondi comunitari nella determinazione del reddito imponibile.

La Corte di cassazione aveva già stabilito (sentenza 2082/2008) che, a seguito della pronuncia della Corte di giustizia, è accertato che il prelievo tributario operato sui fondi strutturali europei per effetto del concorso di tali contributi alla base imponibile dell’imposta sui redditi dovuta dal contribuente – secondo la legislazione italiana – non costituisce violazione dell’articolo 21 del Regolamento 4253/88. Ciò in quanto l’applicazione della disciplina fiscale non presenta un nesso diretto e intrinseco con l’erogazione dei fondi, ai sensi delle disposizioni comunitarie, poiché è diretta a incidere indistintamente su tutti i redditi conseguiti dal soggetto passivo d’imposta.

Peraltro, è da aggiungere, per completezza, che la formulazione dell’articolo 55, lettera b), del Tuir, in vigore fino al 31 dicembre 1997, non operava alcuna distinzione tra i contributi in conto capitale e contributi in conto impianti, considerando sopravvenienze attive tutti i contributi diversi da quelli erogati in conto esercizio: “i proventi in denaro o in natura conseguiti a titolo di contributo o di liberalità, esclusi i contributi di cui alle lettere e) e f) del comma 1 dell’art. 53. Tali proventi concorrono a formare il reddito nell’esercizio in cui sono stati incassati o in quote costanti nell’esercizio in cui sono stati incassati e nei successivi ma non oltre il quarto; tuttavia il loro ammontare, nel limite del 50 per cento e se accantonato in apposita riserva, concorre a formare il reddito nell’esercizio e nella misura in cui la riserva sia utilizzata per scopi diversi dalla copertura di perdite di esercizio o i beni ricevuti siano destinati all’uso personale o familiare dell’imprenditore, assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa” (cfr risoluzione 22 gennaio 2010, n. 2).

L’onere della prova
Per quanto attiene alla questione dell’inerenza all’attività d’impresa delle operazioni contabili effettuate dalla società, le Entrate hanno sostenuto nel ricorso per cassazione che non era onere dell’ufficio fornire le prove dirette alla convalidazione del costo. Anche in questa fattispecie, la Corte di legittimità ha accolto le doglianze dell’ufficio e, di conseguenza, poiché il contribuente non aveva fornito la prova che tali costi rivestissero il carattere di stretto collegamento con l’attività d’impresa, che la loro detrazione non era da ritenersi corretta.

Dall’assunto valorizzato dalla Suprema corte deriva in linea generale che, ai fini delle imposte sui redditi e dell’Iva, affinché un costo possa essere incluso fra le componenti negative del reddito d’impresa, non soltanto è necessario che ne sia certa l’esistenza, ma occorre altresì che ne sia comprovata l’inerenza, e per provare tale ultimo requisito non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, dovendo l’imputabilità del costo anche collegarsi a fatti (e decisioni) comunque riferibili al soggetto che tale costo si deduce, in ottemperanza ai contenuti prescrittivi dell’articolo 75 del Dpr 917/1986 (vigente ratione temporis) e dell’articolo 19 del Dpr 633/1972 (Cassazione 22790/2009, 18302/2008).

Inoltre, la Cassazione, anche alla luce della sesta direttiva del Consiglio 77/388/Cee, come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, ha già affermato il principio secondo cui “in tema di IVA, l’art. 19, comma 1, D.P.R. n. 633/1972, consentendo al compratore di portare in detrazione l’imposta addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore quando si tratti di acquisto effettuato nell’esercizio dell’impresa, richiede, oltre alla qualità d’imprenditore dell’acquirente, l’inerenza del bene acquistato all’attività imprenditoriale, intesa come strumentalità del bene stesso rispetto a detta specifica attività, ed inoltre, non introducendo una deroga ai comuni criteri in tema di onere della prova, lascia la dimostrazione di detta inerenza o strumentalità a carico dell’interessato” (Cassazione 3706/2010, 16730/2008, 11765/2008, 3022/2007).

In tal modo, la Cassazione ha consolidato l’orientamento secondo cui (sentenze 1709/2007, 11078/2008), in tema di imposte sul reddito, con riferimento alla determinazione del reddito d’impresa, l’onere della prova circa l’esistenza e l’inerenza dei costi, ai sensi dell’articolo 2697 cc, incombe al contribuente, per cui (sentenze 18710/2005, 11240/2002, 10802/2002, 16198/2001) è questi che, ove intenda sostenere l’esistenza di costi maggiori di quelli considerati, deve documentare che essi sono stati effettivamente affrontati e sono inerenti all’esercizio cui l’accertamento si riferisce.Affermando che incombeva all’ufficio la dimostrazione dell’inerenza delle operazioni contestate nell’accertamento stesso, la Commissione tributaria regionale ha evidentemente violato la disposizione dettata dall’articolo 2697 cc e tanto ha imposto al giudice di legittimità di cassare la sentenza impugnata.
Salvatore Servidio
Fonte: http://www.nuovofiscooggi.it/giurisprudenza/articolo/dedurre-i-costi-sostenuti-l-impresa-deve-provarne-l-inerenza