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Corte Ue, ok a entità unica tra società madre e controllata

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La domanda di pronuncia pregiudiziale è relativa all’interpretazione degli articoli 43 e 48 del Trattato Ce
La domanda di pronuncia pregiudiziale (procedimento C-373) è relativa all’interpretazione degli articoli 43 e 48 CE. Nella fattispecie, si tratta di una domanda presentata da una società di capitali olandese contro il negato riconoscimento da parte dell’Amministrazione finanziaria olandese, di un entità fiscale unica della società con un’altra controllata e residente in Belgio. Il punto è costituito dal fatto che la società controllata non essendo residente nei Paesi Bassi non può essere assoggettata secondo le norme dell’ordinamento fiscale olandese. Pertanto, contro il rigetto manifestato dalla Amministrazione finanziaria olandese veniva proposto ricorso ai giudici nazionali i quali a loro volta si sono pronunciati legittimando la posizione del Fisco. Proprio a seguito di tale legittimazione, la società madre olandese proponeva ricorso per cassazione alla Corte suprema dei Paesi Bassi che, a sua volta, decideva la sospensione del procedimento per sottoporre la questione ai giudici europei, In partcilare se secondo l’articolo 43 e l’articolo 48 Ce, sia possibile che una normativa nazionale di uno Stato membro acconsenta al fatto che una società madre e la sua controllata non residente siano assoggettate a imposta seguendo le disposizioni fiscali della società madre alla stregua di un unico soggetto passivo. O se il suddetto trattamento spetti a quelle società controllate ma residenti nello Stato membro della società madre.
La convenzione contro doppia imposizione tra Belgio e Paesi Bassi
L’accordo convenzionale datato 5 giugno 2001 mira a evitare comportamenti di elusione fiscale sul pagamento delle imposte sul reddito e sul patrimonio. A norma dell’articolo 7, gli utili conseguiti da una società residente in uno Stato membro sono imponibili in questo Stato mentre gli utili prodotti tramite una stabile organizzazione situata in altro Stato sono assoggettati alla normativa fiscale di quest’ultimo. Laddove una società con sede nei Paesi Bassi consegua utili nello Stato belga e detti proventi siano tassati in quest’ultimo Stato, la società può scomputare le imposte assolte dalle imposte dovute all’Amministrazione finanziaria olandese.
La normativa olandese
La normativa di riferimento è costituita dall’articolo 15 della legge del 1969 il cui ambito è proprio l’imposizione sulle società. Secondo l’articolo 15, nell’ipotesi di una società madre, che detenga almeno il 95% delle quote di capitale di un’altra società, l’imposta dovuta da suddette società può essere riscossa, se richiesto, unitariamente come se si trattasse di un unico soggetto passivo. Si paventa in tal caso la figura di un entità fiscale unica. Conditio sine qua non è l’applicabilità delle norme nel calcolo delle imposte sugli utili, cosa che sta a significare anche che società madre e controllata abbiano entrambi sede nello Stato membro e nel caso di specie nei Paesi Bassi. A questa regola si può derogare con apposito provvedimento amministrativo generale a condizione che al soggetto passivo possa essere applicata la convenzione contro la doppia imposizione oppure che si tratti di una società per azioni, a responsabilità limitata o simili ed infine nel caso in cui il soggetto passivo sia componente dell’entità fiscale in qualità di società madre.
Entità fiscale unica e libertà di stabilimento
Occorre premettere che, come da giurisprudenza costante, il diritto comunitario costituisce ormai un riferimento per gli Stati membri anche in materia di imposte dirette seppur di competenza propria di quest’ultimi. Il principio della libertà di stabilimento attribuisce, nell’ambito della Comunità europea, tra le altre cose, proprio la possibilità di costituire e gestire imprese nell’intero territorio comunitario alle condizioni previste dallo Stato membro. Si è osservato che la possibilità di costituire un entità fiscale unica tra società madre e controllata da parte dello Stato olandese determina una posizione di vantaggio per le società interessate. Questo perché, si consente di consolidare in capo alla società madre utili e perdite delle società controllate attribuendo carattere fiscalmente neutro alle operazioni infragruppo. Pertanto, se si nega ad una società madre con una controllata in altro Stato membro di costituire un entità fiscale unica si corre il rischio di scoraggiare l’esercizio della libertà di stabilimento dissuadendo dal creare società controllate in altri Stati membri. Alcuni governi europei nelle loro osservazioni alla Corte hanno affermato che la suddetta disparità non si crea in quanto società controllate residenti e non si trovano in situazioni fiscali confrontabili alla luce del regime tributario descritto nella causa principale. Inoltre, il regime fiscale in trattazione è giustificato dall’esigenza di tutelare la ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri.
La conclusione della Corte
A conclusione dell’esame della questione pregiudiziale gli eurogiudici si sono espressi nel senso che non sussiste alcun ostacolo, a norma del combinato disposto degli articoli 43 e 48 CE, che impedisca ad uno Stato membro di consentire ad una società madre la possibilità di costituire un’entità fiscale unica, ai fini della tassazione, composta dalla società madre con la società controllata residente. Diversamente, non si può ammettere una entità unica laddove la società controllata sia una società non residente, nello Stato membro della società madre, ai cui utili si applica una normativa tributaria propria dello Stato membro di appartenenza. Ne consegue che la suddetta entità unica si può avere tra società madre e controllata residente qualora gli utili di quest’ultima siano assoggettati a tassazione secondo le norme tributarie dello Stato membro della società madre.

Andrea De Angelis
Fonte: http://www.nuovofiscooggi.it/giurisprudenza/articolo/corte-ue-ok-a-entita-unicatra-societa-madre-e-controllata

Lotta all’evasione internazionale. Continua l’offensiva Entrate-Gdf

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Oltre 2000 contribuenti nel mirino per la mancata indicazione nel quadro RW di somme detenute all’estero
Prende il via oggi, dopo mesi di analisi e incrocio di dati, una nuova offensiva dei reparti speciali della Guardia di Finanza e della task force dell’Agenzia delle Entrate contro l’evasione fiscale internazionale. Sotto la lente del Fisco, oltre 2000 contribuenti sospettati di aver trasferito all’estero tra il 2007 e il 2008 più di due miliardi di euro, violando le norme sul monitoraggio fiscale.
“Si tratta di persone che hanno portato all’estero capitali superiori a 500mila euro ciascuno attraverso intermediari finanziari”, spiega il comandante Stefano Screpanti, capoufficio Tutela entrate del Comando generale della Guardia di Finanza.
“I capitali sui quali è concentrata l’indagine – prosegue Screpanti – sono stati portati in Paesi comunitari, extra-comunitari non paradisi e anche nei cosiddetti paradisi fiscali contenuti nelle black list italiane come Svizzera, Singapore, Panama e altri”. Tra questi, Liechtenstein e Isole del Canale.

L’indagine è scattata in seguito all’esame delle segnalazioni che banche e altri intermediari, in base al decreto legge 167/1990, hanno effettuato all’Agenzia delle Entrate in merito ai trasferimenti da o verso l’estero di capitali.
Dagli elenchi trasmessi dagli intermediari, gli 007 del Fisco sono risaliti, attraverso accurate analisi, ai nomi dei contribuenti che non hanno indicato le somme detenute all’estero nell’apposito quadro RW della propria dichiarazione, violando così la normativa sul monitoraggio fiscale.
“L’analisi puntuale delle singole posizioni e l’attività istruttoria conseguente (verifiche, questionari, colloqui in ufficio) sono assegnati al nucleo speciale dell’Ucifi, l’Ufficio centrale illeciti fiscali, per le posizioni a maggior rischio di evasione e per i collegamenti con altre posizioni sospette, su tutte le altre sono impegnate le strutture regionali e locali dell’Agenzia”. Queste le parole di Emiliana Bandettini, capo della task force dell’Agenzia delle Entrate, costituita da 50 esperti fiscali.

Si intensifica, quindi, l’attività di contrasto all’evasione fiscale internazionale.
In base alle nuove norme in materia, introdotte dall’articolo 12 del Dl 78/2009, gli investimenti e le attività finanziarie detenute nei cosiddetti paradisi fiscali in violazione delle norme sul monitoraggio fiscale si considerano come redditi sottratti a imposizione in Italia, salvo prova contraria del contribuente.
Spetta, quindi, adesso alle persone finite nel mirino del Fisco dimostrare il contrario affinché tale presunzione non sia operativa. Inoltre, dovranno pagare le sanzioni riguardanti la violazione degli obblighi dichiarativi. Sanzioni inasprite dallo stesso articolo 12 del Dl 78/2009: dal 200 al 400% della maggiore imposta dovuta per omessa indicazione in dichiarazione (come nel caso dell’indagine in corso) e dal 240 al 480% della imposta dovuta in caso di omessa presentazione della dichiarazione.

Il gruppo di contribuenti finiti nella rete del Fisco, pur essendo distribuito su tutto il territorio nazionale, si concentra soprattutto in Lombardia, Lazio, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte. Unica regione virtuosa, la Valle d’Aosta.

La Guardia di Finanza estenderà gli accertamenti anche su profili non strettamente fiscali su un centinaio dei soggetti indagati, perché hanno già precedenti per reati a sfondo patrimoniale o per legami con la criminalità.
Alessandra Gambadoro

Fonte: http://www.nuovofiscooggi.it/attualita/articolo/lotta-allevasione-internazionalecontinua-loffensiva-entrate-gdf

Accusa di evasione archiviata? L’accertamento fiscale va avanti

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Il giudice tributario non può limitarsi a rilevare una pronuncia penale favorevole al contribuente
L’archiviazione in sede penale delle accuse di evasione in favore di un contribuente non blocca l’accertamento e, quindi, la responsabilità fiscale.
A questa conclusione è giunta la sentenza n. 3564 del 16 febbraio, con la quale la Corte di cassazione ha accolto le censure dell’Agenzia delle Entrate, rafforzando così la linea interpretativa che limita fortemente gli effetti del giudicato penale nel processo tributario.

Il fatto
Una società a responsabilità limitata, operante nel settore del commercio all’ingrosso delle carni, impugna un avviso di accertamento in materia di Iva con il quale l’ente impositore, sulla scorta di un processo verbale di constatazione, recuperava a tassazione indebite detrazioni d’imposta (ex articolo 19 Dpr 633/1972) per reiterata utilizzazione di fatture ritenute soggettivamente inesistenti da fornitori nazionali fittizi interposti nel traffico transfrontaliero delle carni, ma il cui effettivo destinatario commerciale era la società intimata. In particolare, la frode veniva perpetrata mediante un sistema d’interposizione fittizia che consentiva alla società di far apparire la merce, che in realtà veniva importata direttamente dalla stessa, come acquisita all’estero e rivenduta in Italia da altre società che non avevano né struttura organizzativa né patrimonio sociale, risultando peraltro le stesse amministrate o possedute da soggetti nullatenenti di comodo, successivamente falliti.

L’interposizione così strutturata è destinata a creare, da un lato, un debito d’imposta a carico della società “filtro” che, in realtà, non veniva assolto, e dall’altro un credito di imposta inesistente a favore della società ora resistente. Peraltro, la falsità delle fatture, ossia la loro provenienza da soggetti che in realtà non avevano venduto la merce, e la conseguente inesistenza dell’operazione commerciale sotto il profilo soggettivo, sono circostanze non contestate.

La verifica effettuata dalla Guardia di finanza comportava anche, di riflesso, denuncia all’Autorità giudiziaria, al fine di valutare la sussistenza delle violazioni di natura penali di cui all’articolo 2 del Dlgs 74/2000, che punisce con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di evadere le imposte sul reddito o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, elementi passivi fittizi. Si aggiunge al riguardo, per completezza espositiva, che, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, lettera a), Dlgs 74/2000, con i termini “fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” si intendono, secondo il testuale disposto normativo, non solo le fatture emesse a fronte di operazioni nella realtà in tutto o in parte inesistenti, ma altresì quelle che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi. Le fattispecie delittuose di cui all’articolo 8 (emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) e al citato articolo 2 del Dlgs 74/2000 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), sono integrate, oltre che dall’emissione o dall’utilizzazione nelle dichiarazioni annuali dei redditi e ai fini Iva di documentazione contabile, fiscalmente rilevante, che non corrisponda a operazioni reali, anche dall’emissione di detta documentazione da parte di soggetti diversi rispetto a quelli tra i quali è intercorsa l’operazione commerciale ovvero dalla successiva utilizzazione di detta documentazione nelle dichiarazioni annuali relative alle imposte citate da parte dell’operatore commerciale che ha ricevuto le fatture da un soggetto diverso rispetto all’effettivo esecutore della prestazione (Cassazione, 48039/2008).

La Commissione tributaria provinciale adita respinge il ricorso, la cui sentenza viene riformata dal giudice di appello, il quale, condividendo le argomentazioni dell’appellante, ha ritenuto che l’atto impositivo non fosse supportato da validi elementi probatori ma soltanto da “semplici presunzioni ed elementi indiziari che non appaiono peraltro né gravi né precisi né concordanti”. Inoltre, l’assunto della sentenza del gravame si basa anche sul dirimente esito favorevole del contestuale procedimento penale per la falsità delle operazioni, essendo quest’ultimo risultato infondato nelle accuse mosse al responsabile della società e, quindi, archiviato.

L’Agenzia delle Entrate oppone ricorso per cassazione in forza di due motivi, con i quali il secondo giudicato viene sostanzialmente censurato:
1. per vizi di motivazione, per avere la Commissione regionale ritenuto insufficienti, senza l’esposizione di un’adeguata motivazione, gli elementi indiziari offerti dall’ente impositore sulle incontestate circostanze di fatto idonee a sostenere la presunzione di evasione de qua
2. violazione di legge, per avere la stessa Commissione ritenuto fondante nel giudizio tributario l’avvenuta archiviazione del procedimento penale, senza spiegare, anche stavolta, le ragioni che “lo riteneva idoneo a superare il corredo di indizi diffusamente richiamato dall’Ufficio”.

Decisione sui vizi motivazionali
La Corte di cassazione ritiene fondate le contestazioni dell’Amministrazione finanziaria. Quanto al primo motivo, l’affermazione del giudice di appello, secondo cui gli elementi posti dall’ufficio a base dell’accertamento sarebbero privi di supporti probatori, risulta “assolutamente generica” e, perciò, passibile di censura, non esternando adeguatamente le ragioni del proprio convincimento, in modo da rendere impossibile il controllo di legittimità sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento seguito. Soprattutto se poi tale ragionamento ha considerato gli elementi indiziari di parte pubblica versati in atti del tutto privi dei requisiti di gravità, precisione e concordanza (Cassazione 1727/2007, 1569/2007, 27341/2005, 9100/2001).

Al riguardo, si rileva che la giurisprudenza della Suprema corte ha stabilito in più occasioni (cfr sentenze 1756/2006, 890/2006, 3114/1995, 2067/1998) che ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, denunziabile in sede di legittimità, nella duplice manifestazione di “difetto assoluto” o di “motivazione apparente”, quando il giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento. Si ricorda in proposito che la presunzione – conseguenza che la legge o il giudice trae da fatti noti (quelli accertati dalla polizia tributaria) per risalire a un fatto ignorato (entità dell’evasione fiscale) – costituisce essa stessa, senza necessità di altre prove, una fonte del convincimento del giudice (Cassazione 2699/2004), il quale è tenuto ad accertare che gli elementi indiziari a disposizione siano forniti del carattere di gravità, precisione e concordanza (articolo 2729 cc) (Cassazione 1575/2007). Questo giudizio, affidato alla prudenza del giudice di merito, non è sindacabile in sede di legittimità solo se adeguatamente motivato (Cassazione 7122/2006, 1216/2006, 154/2006, 9225/2005).

Ma il decisum di merito viene ritenuto esecrabile dalla Cassazione anche da un altro punto di vista, allorché non enuncia a sufficienza il significato che dovrebbe attribuirsi all’espressione “validi elementi probatori”, per distinguerla dalle “semplici presunzioni”, perché altrimenti tale asserzione potrebbe apparire addirittura arbitraria sul piano logico-giuridico, dato che proprio nel contesto normativo l’articolo 54, comma 1, ultimo periodo, del Dpr 633/1972 consente all’ufficio, anche mediante dati e notizie raccolti con le modalità stabilite dall’articolo 51 dello stesso Dpr 633, di procedere ad accertamento anche in base a presunzioni semplici che, se fondate su indizi gravi, precisi e concordanti, hanno in ogni caso l’effetto di spostare sul contribuente l’onere della prova contraria (Cassazione 25141/2009, 3590/2009, 3305/2009, 15299/2008, 10964/2007).
Detta prova contraria, a parte il diverso oggetto dedotto in giudizio, non può comunque essere costituita dalla sola esibizione dei mezzi di pagamento delle fatture contestate, che normalmente vengono usati fittiziamente, rappresentando un mero elemento indiziario la cui presenza, o assenza, deve essere valutata nel contesto di tutte le altre risultanze processuali.

Decisione sulla violazione di legge
Con la sentenza 3564/2010, la Corte di legittimità ha anche accolto il rilievo dell’Amministrazione ricorrente relativo all’incidenza, nel processo tributario, delle decisioni assunte dal giudice penale in merito alle ipotesi di reato emergenti dall’accertamento, stabilendo che il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l’esistenza di un provvedimento penale favorevole al contribuente e assumere automaticamente gli effetti nel giudizio di propria competenza (articolo 116 cpc), ma deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui lui è destinato a operare.
A tal fine – come già rilevato dalle sentenze 19481/2004, 11272/2001 e 9410/2000 -, la Corte ricorda, in tema di norme penaltributarie implicate nella vicenda, come l’articolo 12 del Dl 429/1982, secondo cui la sentenza irrevocabile di condanna o di proscioglimento pronunciata in seguito a giudizio relativa a reati previsti in materia di imposte sui redditi e di Iva ha autorità di cosa giudicata nel processo tributario per quanto concerne i fatti materiali che sono stati oggetto del giudizio penale, è stato prima implicitamente abrogato per effetto della entrata in vigore dell’articolo 654 del nuovo codice di procedura penale e dell’articolo 207 disp. att. cpp e poi espressamente abrogato dall’articolo 25 del Dlgs 74/2000.

In particolare, l’articolo 654 cpp, mentre ha confermato i limiti oggettivi dell’efficacia vincolante del giudicato penale ex articolo 28 cpp del 1930, ne ha ridefinito i limiti soggettivi, ponendo come condizione per l’estensione del giudicato penale nel giudizio civile o amministrativo il fatto che l’imputato, la parte civile o il responsabile civile abbiano partecipato al processo penale; tale norma opera, ex articolo 207 disp. att. cpp, anche per i reati previsti da leggi speciali e, quindi, dalle leggi penali tributarie, come stabilito dalla sentenza 586/2006 (cfr anche Cassazione 15089/2000).
Ciò significa che il riferito principio di diritto é anche conseguenza del mutato quadro normativo appena descritto, caratterizzato specialmente dalla disposizione per cui l’efficacia della sentenza penale in altri giudizi è subordinata alla circostanza che la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa, di modo che nessuna automatica autorità di cosa giudicata possa più attribuirsi nel giudizio tributario (neppure) alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in materia di prova posti dall’articolo 7, comma 4, del Dlgs 546/1992 (in precedenza, dall’articolo 35, comma 5, del Dpr 636/1972), e trovano ingresso, con rilievo probatorio, in materia di determinazione dell’Iva, anche presunzioni semplici, prive dei requisiti prescritti ai fini della formazione di siffatta prova tanto nel processo civile (articolo 2729, comma 1, cc), che nel processo penale (articolo 192, comma 2, cpp) (Cassazione 28564/2008, 5720/2007, 9109/2002, 6337/2002, 3961/2002, 889/2002, 15207/2001, 3421/2001).

In altri termini, non potendosi legittimamente riconoscersi autorità di cosa giudicata a un decreto di archiviazione (come nel caso di specie), non è neppure da escludersi che l’imputato, assolto in sede penale, anche con piena formula (per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste), potrebbe tuttavia essere responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, da parte dello stesso contribuente, a giustificare in tutto o in parte il debito tributario.

Osservazioni conclusive
Per concludere, appare anche utile aggiungere che gli assunti della pronuncia in narrativa hanno trovato ulteriore conferma, da ultimo, nella similare sentenza 4013/2010, nella quale la Suprema corte, in particolare, ha espresso il principio di diritto in base al quale, in tema di Iva, se l’Amministrazione finanziaria contesta al contribuente l’indebita detrazione di fatture perché relative a operazioni inesistenti, la prova della legittimità della correttezza delle detrazioni, legata all’effettività delle operazioni poste in essere, deve essere fornita dal contribuente, e che tale prova, tuttavia, non può essere limitata alla circostanza rituale dell’esibizione dei mezzi di pagamento, i quali rappresentano un mero elemento indiziario da valutare attentamente nel coacervo di tutti gli altri fattori acquisiti al processo.
Salvatore Servidio

Fonte: http://www.nuovofiscooggi.it/giurisprudenza/articolo/accusa-di-evasione-archiviata-l-accertamento-fiscale-va-avanti

In rete il software Iva 74-bis 2010 insieme alle procedure di controllo

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La nuova tecnologia semplifica e assicura sempre l’utilizzo della versione aggiornata del prodotto informatico
Disponibile sul sito delle Entrate il software Iva 74-bis 2010 attraverso il quale è possibile compilare on line il modello Iva 74-bis 2010 – usato per dichiarare le operazioni effettuate nella frazione d’anno antecedente la dichiarazione di fallimento o liquidazione coatta amministravi avvenuta nel 2010 – e inviare direttamente il relativo file telematico senza passare necessariamente per la verifica preventiva delle procedure di controllo scaricabili, in ogni caso, allo stesso indirizzo internet.

Sulla pagina web dell’Agenzia anche alcune informazioni sul prodotto e i vantaggi della moderna procedura informatica adotta, basata su criteri innovativi per la distribuzione dei software Java. La nuova tecnologia, infatti, assicura sempre l’utilizzo dell’ultima versione del software evitando complesse procedure di installazione e aggiornamento perché consente di attivare direttamente le applicazioni dalla rete.

È importante segnalare, inoltre, che le modalità di installazione sono cambiate rispetto allo scorso anno ed è quindi opportuno leggere le istruzioni.
r.fo.
Fonte: http://www.nuovofiscooggi.it/attualita/articolo/rete-il-software-iva-74-bis-2010-insieme-alle-procedure-di-controllo

Erasmus per giovani imprenditori: un programma volto a stimolare la creazione di piccole imprese

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Pensate di mettere su un’impresa o siete già un imprenditore di successo? Il programma di scambio “Erasmus per giovani imprenditori” offre ai nuovi imprenditori un’eccellente opportunità per acquisire le competenze utili per gestire una piccola o media impresa (PMI). I nuovi imprenditori imparano come gestire una PMI e acquisiscono familiarità con il contesto imprenditoriale di un altro paese dell’UE lavorando a contatto con un imprenditore già affermato. Il programma “Erasmus per giovani imprenditori” è stato avviato dalla Commissione europea nel febbraio 2009.
Antonio Tajani, vicepresidente della Commissione e uropea e responsabile per le imprese e l’industria ha affermato: “In questo periodo di difficoltà economiche dobbiamo svincolare le enormi potenzialità di coloro che aspirano a creare una propria impresa incoraggiandoli a compiere il passo decisivo in tal senso. Grazie a questo programma essi acquisiscono un’opportunità senza pari per apprendere da colleghi già esperti come meglio tradurre nella realtà le loro idee di impresa. Dobbiamo aiutare un maggior numero di PMI ad uscire dalla crisi attuale visto che le PMI creano la maggior parte dei nuovi posti di lavoro e sono il volano dell’economia.”
I nuovi imprenditori possono scegliere di fare uno stage della durata di 1 – 6 mesi presso un imprenditor e già affermato. Durante tale periodo, essi hanno l’opportunità di acquisire le necessarie conoscenze per l’avvio e la gestione di una PMI in ambiti quali la gestione finanziaria e operativa, lo sviluppo di prodotti e servizi innovativi, strategia di vendita e di marketing efficaci, il diritto commerciale europeo e il mercato unico.
Gli imprenditori ospitanti sono imprenditori già affermati che possiedono o gestiscono una PMI nell’UE. Essi traggono a loro volta beneficio dal programma poiché hanno l’opportunità di migliorare il loro accesso al mercato e di identificare partner potenziali in altri paesi dell’UE. Il programma agevola la costituzione di reti tra imprenditori facendo leva sulle conoscenze e esperienze transfrontaliere all’interno dell’UE.
Antonio Tajani ha ribadito che si deve migliorare il livello di internazionalizzazione delle PMI visto che attualmente soltanto poche PMI esportano i loro prodotti e servizi verso altri paesi dell’UE o verso paesi terzi.
A tutt’oggi si sono conclusi più di 50 scambi mentre altri 100 sono attualmente in corso. Si sono registrate più di 1800 candidature: la parte del leone la fanno l’Italia e la Spagna cui corrisponde più del 45% delle candidature totali.
Il programma “Erasmus per giovani imprenditori” è finanziato dalla Commissione europea ed è portato avanti nei singoli Stati membri dell’UE da più di 160 organizzazioni intermediarie aventi vocazione di sostegno alle aziende come ad esempio le camere di commercio, le organizzazioni di sostegno alle imprese e i centri che aiutano le imprese nella loro fase di avviamento.

Fonte: http://first.aster.it/news/show_news.php?ID=21548&UG=ASTER01

Istat: reddito famiglie 2005-2007

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Metà del reddito va alle famiglie del nord. Da un’indagine Istat si rileva che il reddito disponibile delle famiglie italiane si e’ concentrato in media per circa il 53% nelle regioni del nord, per il 26% circa nel Mezzogiorno e per il restante 21% nel Centro. E’ un’indagine Istat che prende in esame il periodo 2005-2007.
In particolare il nord-ovest, il centro e il sud mostrano una crescita media annua simile intorno al 3,2% pari a quella nazionale del 3,2%, al contrario nel nord-est la crescita totale e’ stata maggiore della media nazionale con un +3,4%. In cima alla classifica l’Emilia-Romagna, che segna un +4%.
Nel periodo 2005-2007 il Reddito disponibile delle Famiglie italiane si è concentrato, in media, per circa il 53 per cento nelle regioni del Nord, per il 26 per cento circa nel Mezzogiorno e per il restante 21 per cento nel Centro. Tale suddivisione è rimasta sostanzialmente invariata nel corso del triennio. Il Nord-ovest, il Centro e il Mezzogiorno hanno evidenziato una crescita media annua molto simile (intorno al 3,2 per cento), pari a quella nazionale (3,2 per cento). Al contrario, nel Nord-est la crescita totale è stata maggiore della media nazionale (+3,4 per cento).
In particolare, nel Nord-ovest, la Liguria (+3,4 per cento) e la Lombardia (+3,3 per cento) hanno registrato tassi di crescita superiori o uguali alla media, mentre in Piemonte (+3 per cento) e Valle D’Aosta (+2,9 per cento) i tassi sono risultati inferiori a quello nazionale. Nel Nord-est coesistono regioni con una crescita maggiore della media nazionale, quali l’Emilia-Romagna (+4 per cento) e la provincia di Trento (+3,6 per cento) e altre in cui l’aumento è risultato inferiore, come il Veneto (+3 per cento).
Nelle regioni del Centro, Marche e Lazio hanno evidenziato valori superiori alla media nazionale annua (rispettivamente +3,4 e 3,3 per cento); invece, è piuttosto evidente la dinamica relativamente negativa dell’Umbria, che ha presentato la crescita più contenuta tra tutte le regioni italiane (+2,5 per cento).
Nel Meridione, si distingue l’Abruzzo che, nei tre anni considerati, ha registrato l’aumento più sostenuto del reddito disponibile (+3,9 per cento), seguito immediatamente dal Molise (+3,8 per cento); tale crescita ha compensato quella inferiore alla media di Campania (+2,7 per cento), Sardegna (+2,8 per cento), Calabria e Sicilia (entrambe +3 per cento).
Poi ci sono i dati sul reddito primario, che è l’insieme dei flussi netti percepiti dalle Famiglie a titolo di remunerazione per l’impiego nel processo produttivo del proprio lavoro e del proprio capitale. Analogamente a quanto osservato per il reddito disponibile, nel periodo 2005-2007 la quota di reddito primario percepito dalle Famiglie nelle varie ripartizioni geografiche è rimasta sostanzialmente invariata rispetto al totale nazionale, denotando solo una leggera perdita di peso nelle regioni meridionali (dal 24,2 per cento osservato nel 2005 al 23,9 per cento nel 2007) a vantaggio soprattutto delle regioni del Nord-est (dal 22,5 al 22,7 per cento). Nessuna variazione di rilievo ha riguardato, invece, la quota prodotta dalle regioni del Centro (dal 21,2 al 21,3 per cento) e del Nord-ovest (al 32,1 per cento in entrambi gli anni).
Dal 2005 al 2007 i redditi da lavoro dipendente sono aumentati in Italia del 13,1 per cento. Tale crescita, pur abbastanza uniforme nelle quattro macroaree, è stata più accelerata al Nord-est (+14,6 per cento) e al Centro (+13,7 per cento), più lenta al Nord-ovest (+12,1 per cento) e nel Mezzogiorno (+12,5 per cento). A livello regionale, Umbria, Abruzzo ed Emilia-Romagna (+18,5, +16,3 e +16,1 per cento rispettivamente) hanno mostrato i ritmi di crescita più elevati. Tale dinamica ha lasciato invariata, nel corso del trienno, la distribuzione dei redditi da lavoro dipendente, che si concentrano per il 53 per cento circa nel Nord, il 22 per cento nel Centro e il 25 per cento circa nel Mezzogiorno.
Fonte: www.regioni.it

Ubi Banca: progetto community per clientela giovane

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Qual è la banca ideale per i giovani? Ebbene, proprio i giovani possono raccontare e descrivere le caratteristiche della loro banca ideale con “Libertà di Banca“, un progetto di community ideato da Ubi Banca per i giovani, e per il quale è stato creato il Portale ad hoc Libertadibanca.com. Secondo quanto dichiarato dal Responsabile Retail di UBI Banca, Elisabeth Rizzotti, il Gruppo punta ad aprire un canale di dialogo con i giovani cambiando in maniera radicale il rapporto tra il cliente e l’Istituto di credito, e sfruttando l’interattività ed i modelli di community ai quali i giovani sono molto vicini.

A tal fine, su Libertadibanca.com, adottando i codici, il linguaggio ed il desiderio di intrattenimento dei giovani, ci sono gli spazi per poter esprimere liberamente le proprie idee e partecipare in maniera attiva. In questo modo, Ubi Banca può meglio comprendere i bisogni della fascia di clientela sotto i 30 anni e, di conseguenza, acquisire nuovi input e nuovi stimoli per la messa a punto dei servizi e dei prodotti bancari.

Per quanto riguarda le iniziative a favore dei giovani, tra le più recenti di Ubi Banca ricordiamo quella del periodo natalizio, “Play UBI“, che ha portato all’apertura di ben 15 mila conti in un solo mese; da circa un mese, invece, per i bambini da zero a dodici anni, Ubi Banca ha lanciato “Clubino“, l’iniziativa legata all’apertura di un libretto di risparmio con zero spese di apertura e di gestione, e con imposta di bollo a carico della Banca.

Contestualmente al lancio di Libertadibanca.com, c’è anche un concorso che permette sia di diventare un nuovo volto nelle campagne di comunicazione del Gruppo bancario, sia di vincere premi come gli scooter Piaggio “Vespa S 125″ e addirittura una vettura “Volkswagen New Beetle“. Ubi Banca, inoltre, si attiverà nel “presidiare” gli ambienti mediatici frequentati dai giovani a partire dai social network.

Fonte: www.vostrisoldi.it

Ecoincentivi auto, concessionari perplessi e preoccupati

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L’assenza di ecoincentivi auto per l’anno 2010 rischia di creare danni superiori ai benefici generati dagli ecoincentivi in vigore e messi a punto lo scorso anno. Al riguardo, infatti, Filippo Pavan Bernacchi, Presidente della Federaicpa, la Federazione che rappresenta e tutela gli interessi dei concessionari auto, ha fatto presente come la politica dei bonus statali sia stata mal gestita, e come il calo degli ordini di queste ultime settimane, con un -50%, mettano a rischio ben 15 mila posti di lavoro.

Il Presidente della Federazione, quindi, porta all’attenzione il fatto che i rischi occupazionali nel comparto sono dieci volte più elevati rispetto a vertenze come quella di Termini Imerese. Filippo Pavan Bernacchi, intervenendo presso la decima Commissione del Senato sul tema sia degli incentivi, sia della normativa europea, ha manifestato tutta la propria perplessità anche in merito all’attuale orientamento della Commissione UE sulla legislazione che riguarda la vendita degli autoveicoli ed i servizi di assistenza.

A rischiare di perdere il lavoro non sono solamente i concessionari, che tra l’altro non hanno tutele come ad esempio gli ammortizzatori sociali, ma anche i dipendenti dei saloni che vendono le autovetture; a generare ulteriori ricadute negative sul comparto, inoltre, sarebbe anche il nuovo indirizzo comunitario che inasprirebbe e non poco i problemi tra i costruttori ed i concessionari.

Di conseguenza, il Presidente Filippo Pavan Bernacchi, in accordo con quanto riporta la Confcommercio, ha apertamente chiesto sia una nuova audizione in Senato, sia l’apertura di un tavolo di lavoro settoriale permanente al fine di poter illustrare le difficoltà dei concessionari del nostro Paese che contribuiscono alla formazione del 6% del prodotto interno lordo, ma che nello stesso tempo sono schiacciati da una fiscalità giudicata palesemente iniqua.

Fonte: www.vostrisoldi.it

Rendimenti al 4% per il nuovo bond di RBS

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L’offerta dei bond di Royal Bank of Scotland, Rbs, di cui il Governo Britannico è l’azionista di maggioranza, si arricchisce di altri due nuovi strumenti. Da venerdì 26 febbraio saranno quotate sul Mot, il mercato obbligazionario dei titoli di Borsa Italiana, due nuove obbligazioni, Royal 4% e Royal 6 anni variabile. Grazie a queste due nuove emissioni, sale a 17 il numero delle obbligazioni Royal quotate sul mercato dei bond di Piazza Affari. Royal 4% (codice di identificazione Isin: NL0009354505), è una obbligazione a tasso fisso, verrà rimborsata il 22 febbraio del 2016, quindi ha durata di 6 anni e nell’arco di questo periodo offrirà una cedola del 4% fissa lorda annua.

Invece Royal 6 anni (codice di identificazione Isin: NL0009354513), offre una cedola che varia a seconda del tasso Euribor a 6 mesi a cui è indicizzata. A questo poi va aggiunto uno spread, dell’1,1%. La cedola è distribuita semestralmente quindi ogni 6 mesi paga il tasso Euribor a 6 mesi a cui va aggiunto un premio dell’1,1%. Anche in questo caso la durata è 6 anni e il titolo sarà rimborsato il 22 febbraio del 2016.

Le due obbligazioni hanno caratteristiche molto diverse per andare a soddisfare varie esigenze di risparmio. Royal 4% è una soluzione per chi cerca un investimento di medio termine, ovvero a 6 anni con un ottimo rendimento garantito rispetto all’attuale livello dei tassi. La cedola fissa corrisponde a un premio di circa l’1,2% rispetto all’Irs, il tasso fisso di riferimento di pari durata.
Royal 6 anni variabile è un’obbligazione con cedole semestrali è stata pensata per gli investitori che prediligono il basso rischio e rendimenti variabili a fronte di una visione di tassi di interesse in ripresa.
Fonte: www.vostrisoldi.it

Irpef: Federconsumatori propone aliquota al 95%

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Sia per ragioni di incostituzionalità, sia perché si sarebbe andati contro la libertà di impresa ed il libero mercato, la Camera dei Deputati, in linea con le attese, ha eliminato l’imposizione di un tetto ai guadagni dei manager. La norma era in particolare passata al Senato dopo l’approvazione di un emendamento presentato dal senatore on. Elio Lannutti che, tra l’altro, è anche Presidente dell’Adusbef. Al senatore Lannutti, da anni autentico paladino del risparmio a tutela degli utenti bancari, nelle scorse settimane, lo ricordiamo, è stata comminata una multa da parte della Consob, giudicata dai più paradossale, sulla base di manipolazioni del mercato sulle azioni Unicredit per effetto di alcune dichiarazioni.

Intanto, la Federconsumatori non ha accolto di certo con favore l’annullamento della norma sul tetto dei compensi ai manager, ma “rilancia” formulando una proposta alternativa, che riguarda in particolare le aliquote Irpef. L’Associazione dei consumatori, infatti, ritiene che si debba fare qualcosa per colmare gli squilibri tra chi in Italia guadagna svariati milioni di euro, e chi al mese a casa ne porta a mala pena 800.

L’idea è quella di introdurre una nuova aliquota, al 95%, sulla quota di reddito eccedente i 350 mila euro all’anno. 350 mila euro all’anno fanno quasi 30 mila euro al mese, ragion per cui per la Federconsumatori trattasi di una cifra sufficiente, pure troppo, per condurre una vita più che dignitosa. Secondo l’Associazione l’aliquota Irpef al 95%, che potrebbe anche essere portata al 90% in caso di dure contestazioni, dovrebbe restare in vigore per un periodo di imposta pari a due anni.

In questo modo, per la durata di due anni di imposta, chi è ricco potrebbe dare il proprio contribuito di solidarietà per agevolare il Paese nell’uscita dalla crisi. Inoltre, per aiutare chi soffre, la Federconsumatori è tornata a ribadire la necessità non solo di abbassare i prezzi e le tariffe, ma anche di detassare i redditi fissi in modo tale da far riguadagnare alle famiglie il potere d’acquisto perso in questi anni.

Fonte: www.vostrisoldi.it