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Omaggi: la deduzione è integrale se il loro valore non supera 50 euro

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Limite diverso – 25,82 euro – per poter detrarre l’Iva sui beni che non fanno parte dell’attività dell’impresa
Il trattamento fiscale degli omaggi ha subito modifiche a seguito dell’introduzione delle nuove regole di deducibilità delle spese di rappresentanza disposte dalla Finanziaria 2008 (legge 244/2007) e dettate con il decreto ministeriale del 19 novembre 2008.

Fino al 2007, le spese sostenute per i beni distribuiti gratuitamente erano qualificate di rappresentanza, con possibilità di deduzione integrale se di valore unitario non superiore a 25,82 euro. Se il bene superava tale soglia, la deducibilità delle spese era limitata ad un terzo del loro ammontare, da ripartire in cinque quote costanti nell’esercizio in cui erano state sostenute e nei quattro successivi.

Dal 2008, invece, il riformulato articolo 108, comma 2, del Tuir, riconosce la deducibilità piena delle spese relative ai beni distribuiti gratuitamente se di valore unitario non superiore a 50 euro. Quando il valore unitario dei beni dati in omaggio supera il limite indicato, si applicano le nuove regole sulle spese di rappresentanza, che ne prevedono la deducibilità nel periodo d’imposta in cui sono sostenute, in base ai ricavi e proventi della “gestione caratteristica dell’impresa risultanti dalla dichiarazione dei redditi relativa allo stesso periodo”. In pratica, le spese di rappresentanza possono essere dedotte entro un determinato importo (“plafond di deducibilità”) pari:
– all’1,3% dei ricavi e altri proventi fino a 10 milioni di euro
– allo 0,5% dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente 10 milioni e fino a 50 milioni di euro
– allo 0,1% dei ricavi e altri proventi per la parte eccedente 50 milioni di euro.

Per essere qualificate di rappresentanza e, quindi, risultare deducibili secondo il criterio visto, le spese, effettivamente sostenute e documentate, devono possedere alcune caratteristiche. Requisito essenziale è, innanzitutto, la loro gratuità per il destinatario del bene (o del servizio), ossia da parte di quest’ultimo non vi deve essere corrispettivo o una specifica controprestazione. Dopo di che, vanno rispettati i principi di inerenza e congruità: le spese, cioè, devono essere finalizzate alla promozione sul mercato dei beni (o servizi) dell’azienda o perseguire finalità di pubbliche relazioni, ed essere ragionevoli in funzione dell’obiettivo di generare benefici economici per l’impresa ovvero coerenti rispetto alle pratiche e agli usi commerciali propri del settore in cui opera l’azienda.

Quando l’omaggio è composto da più beni, il limite di 50 euro va riferito al valore complessivo dell’omaggio e non a quello dei singoli beni che lo compongono. Un esempio tipico è quello del cesto natalizio che comprende una serie di beni, il cui singolo valore è sotto i 50 euro, ma che complessivamente superano il tetto indicato per la deducibilità integrale. Dal momento che il cesto va considerato come un unico omaggio dal valore complessivo superiore ai 50 euro, va applicata la regola del “plafond di deducibilità”.

Per quanto riguarda il trattamento ai fini Iva, va fatta una distinzione se i beni dati in omaggio fanno parte dell’attività dell’impresa, cioè se sono prodotti o commercializzati dalla stessa, oppure vengono acquistati per essere regalati.
Per i beni acquistati, l’Iva non è detraibile, tranne quando il costo unitario non è superiore a 25,82 euro (articolo 19-bis1, comma 1, lettera h), Dpr 633/1972); la relativa cessione non è soggetta a imposta.
Nel caso invece di beni che rientrano nell’oggetto dell’attività propria dell’impresa, l’Iva è detraibile (a prescindere dal valore del bene), e la cessione va assoggettata a imposta

Isae, a dicembre cresce la fiducia

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La fiducia dei consumatori cresce ancora a dicembre: l’indice pubblicato dall’Isae sale a 113,7 dal 112,8 del mese precedente, raggiungendo il livello massimo dal luglio 2002. Ad aumentare sono soprattutto le attese per i prossimi mesi, che salgono in termini di indice aggregato da 104,7 a 106,2 sui massimi dal novembre 2003. L’Isae rileva che migliorano anche le opinioni sulla situazione personale (da 121,6 a 123,7) e quelle sulla situazione corrente (da 118,3 a 118,7).

I consumatori sono invece più pessimisti sulla situazione corrente e sulle attese dell’economia nazionale (che passa a dicembre a 92,6 dal 93,7 di novembre). Indicazioni marcatamente più favorevoli provengono tuttavia quasi esclusivamente dalle possibilità future di risparmio e dalla convenienza di acquisto di beni durevoli, mentre tutte le altre variabili risultano per contro in moderato peggioramento o più stazionarie.

Nel complesso, però, commenta l’Isae, “la fiducia dei
consumatori ha recuperato completamente la fase discendente iniziata a gennaio 2007”. Però tale aumento di fiducia non è distribuito in maniera uniforme sul territorio: la fiducia sale infatti di circa due punti nel Nord Est e al Centro, registrando un aumento più moderato nel Nord Ovest e addirittura una lieve diminuzione nel Mezzogiorno.

Quanto ai prezzi, prosegue, anche se con intensità minore, il rallentamento della dinamica inflazionistica corrente e attesa.

Perché la banca non ti presterà mai i soldi

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Il rapporto tra le imprese e le banche non è mai stato semplice. Tanto meno semplice se si incrementa la dimensione della banca e diminuisce la dimensione delle imprese. Ma oggi, in tempi di crisi e di depressione economica, la situazione sta diventando ogni giorno più difficile. Nonostante il Governo italiano e il Ministro dell’Economia, Tremonti, si stiano spendendo molto affinché il credito alle imprese più piccole non sia ristretto, l’evidenza di ogni giorno ci suggerisce l’esatto contrario. Il punto è che la logica della banca, ed anche la sua attuale organizzazione strutturale, non la pone in condizione di erogare prestiti in modo efficiente ed avendo tutte le informazioni necessarie per compiere, con un rischio contenuto, tale delicata operazione. Quello che oggi sta prevalendo è un sistema affetto da gigantismo bancario, in cui grandi agglomerati finanziari, estremamente diversificati, giungono anche allo sportello per raccogliere il risparmio dei cittadini. E per dare prestiti alle famiglie e alle attività produttive che ne abbiano bisogno. Ma è qui che il cerchio non si chiude. Un colosso bancario come prima cosa perde progressivamente i contatti con la realtà con cui opera. Le direzioni generali si spostano in luoghi lontani, a volte neanche nella stessa nazione. Restano a presidiare le filiali onesti burocrati senza grandi poteri, ossia i direttori di filiale. La soluzione data a questo fenomeno di spersonalizzazione del credito è stata quella del computer con software, più o meno intelligenti, che provano a misurare, dall’esame delle carte e dei dati forniti dai clienti, l’affidabilità e il merito di credito degli stessi. Una vera follia, una sorta di incesto finanziario. Il merito di credito, infatti, non è per sua natura standardizzabile, come è stato dimostrato più volte da autorevoli economisti, alcuni dei quali hanno vinto anche premi Nobel (vedi Akerlof con la sua teoria del mercato dei limoni) perché è inevitabilmente oggetto ad asimmetrie informative difficilmente sanabili. Il merito di credito di un’azienda dipende da infiniti fattori, alcuni dei quali legati al tempo, allo spazio, alla psicologia e spesso semplicemente al caso. Il bilancio di un’azienda descrive una situazione storica, non descrive nulla di quello che potrà succedere né delle intenzioni dei suoi protagonisti. Se il miglior operaio si trasferisce alla concorrenza, se il miglior manager decide di andarsene all’estero, se l’imprenditore si rompe una gamba o va in depressione per un divorzio inatteso, cosa potrà mai saperne il computer? Ma sono tutti fatti che incidono sul merito di credito di un’azienda, sulla sua capacità di restituire i soldi prestatigli, di avere la redditività posta alla base del prestito stesso. Eppure l’omino al computer nella sua filiale priva di poteri tutto questo alla direzione centrale fidi non potrà comunicarlo. Gli potrà solo comunicare un form in cui sono raggruppati mille dati che, privi di un interprete e di un osservatore da vicino hanno poco senso o descrivono la realtà in forma alterata. Ed ecco perché le banche hanno deciso di chiudere i rubinetti alle piccole imprese. Guadagnano di più rifilando bidoni ai risparmiatori, vendendo derivati alla pubblica amministrazione, prendendo laute commissioni da megaoperazioni di merger&acquisitions. Eppure la banca è nata con il compito di prestare soldi. Ma per fare banca devi essere uno che conosce la comunità in cui operi, in cui sai tutto di tutti ed hai le informazioni giuste per dare i soldi a chi sai che lo merita. Ma questa realtà dai palazzi del potere bancario certamente non si può vedere.

Maternità: il congedo parentale

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Durante i primi 8 anni di vita del bambino, sia il padre che la madre, purchè non lavoratori a domicilio o domestici, hanno diritto, anche contemporaneamente, ad assentarsi dal lavoro per “congedo parentale”, per garantire cure e presenza al figlio. L’assenza dal lavoro può essere continuativa o frazionata e non può superare in totale, per entrambi i genitori, i 10 mesi.
Nel caso dei genitori adottivi, il congedo parentale può essere chiesto entro gli 8 anni dall’ingresso del minore in famiglia e fino ai 18 anni del bambino. Il trattamento economico e previdenziale è diverso a seconda del periodo in cui viene utilizzato il congedo e dell’ammontare del reddito individuale del lavoratore che lo richiede. In particolare è prevista:
– un’indennità del 30% della retribuzione per un periodo complessivo di congedo fra i 2 coniugi di massimo 6 mesi a prescindere dal reddito.
– un’indennità pari al 30% per la durata del periodo di congedo se il reddito del genitore richiedente sia inferiore a 2,5 volte l’importo del trattamento minimo di pensione che per il 2009 è pari a 458.20 euro.

Fonte: “Soldi e Diritti”